Il caporalato e le donne: sfruttamento, violenze e mancate denunce

Il caporalato

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Viaggio all’interno del mondo del caporalato tra condizioni di sfruttamento, paghe irrisorie e storie di violenza e maltrattamento. Quando il lavoro diviene schiavitù.

Che il mondo del lavoro dovrebbe essere soggetto a drastici cambiamenti e quindi miglioramenti è ormai cosa nota.

Aumentano le morti bianche, è diffuso il lavoro in nero, la disoccupazione crea situazioni drammatiche, le donne non hanno una condizione paragonabile a quella del sesso maschile. Siamo nel 2022 e ancora si parla di caporalato.

Il caporalato

Il caporalato: «forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, specialmente agricola, attraverso intermediari (caporali) che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali»; così cita il vocabolario Treccani.

Parliamo di una vera e propria schiavitù contemporanea, sempre più diffusa nel nostro bel Paese, riguardante gli italiani e soprattutto gli stranieri.

Diverse le associazioni, i progetti, le raccolte fondi che hanno studiato il fenomeno, scoperchiando un vaso di Pandora avvilente.

La realtà dell’Agro Pontino

Concentriamoci, tanto per citare un esempio, sulla realtà dell’Agro Pontino.

Negli ultimi anni Change.org   ha lanciato una petizione per fermare la schiavitù degli indiani nella zona; il rapporto “Agromafie e Caporalato” dell’Osservatorio Placido Rizzotto ha denunciato l’esistenza di oltre 450mila lavoratori e lavoratrici sfruttati, vulnerabili e sofferenti; è nato il progetto “Dignità-Joban Singh”, in onore del bracciante suicidatosi il 6 Giugno del 2020,  con lo scopo di fornire accoglienza e assistenza legale nella provincia di Latina.

Lo stesso è avvenuto in altre realtà italiane.

Inoltre la Camera dei deputati ha avviato, tra il 2020 e il 2021, un’indagine conoscitiva su questo problema  e vi è anche una legge del Parlamento, risalente al 2016, sull’argomento.

Il caporalato quindi esiste, è ormai conosciuto e diffuso. Necessita di interventi e controlli concreti da parte dello Stato, che tardano però ad arrivare. Perché a causa di questa piaga si muore, si soffre, si subiscono violenze atroci.

Schiavitù contemporanea, donne e abusi

Un quadro composto da orari di lavoro inumani, dodici, tredici ore giornaliere (domeniche incluse), totale assenza di periodi di riposo e vacanze, paghe ben al di sotto dei 4€ l’ora, inesistenza di forme contrattuali e di garanzie sugli infortuni e sulle malattie.

Una condizione ancora più tragica quella delle donne, come emerge dal rapporto del 2021 di We World Onlus.

Queste, oltre ad essere vessate dalle ingiustizie sopra descritte e a ricevere compensi ancora più miseri rispetto ai braccianti di sesso maschile,  sono spesso vittime di violenze fisiche e abusi sessuali  dai quali non possono sottrarsi. Pena la perdita dell’occupazione e il dovere scomparire immediatamente.

«Violenze e sfruttamento sessuale costituiscono un elemento quasi sistematico, soprattutto in alcune zone del paese fortemente segnate da fenomeni di illegalità e criminalità organizzata»

Le mancate denunce

Come se quanto descritto non bastasse a dipingere una realtà già drammatica, un altro fatto è stato rilevato e segnalato.

Le denunce da parte delle braccianti dell’Agro Pontino, prevalentemente indiane e rumene, per le violenze e i torti subiti sono inferiori del 60% rispetto a quelle degli uomini.

Le ragioni del fenomeno vanno ricercate, senza neanche troppo sforzo, nel sistema patriarcale che ancora caratterizza le nostre realtà, lavorativa e familiare. Questo, infatti, non incita il sesso femminile a far sentire la propria voce.

Non si denuncia per paura di perdere quel poco che, a fine giornata, si riesce a portare a casa.

Non si denuncia, inoltre, perché nello stesso ambiente domestico queste donne, mogli, madri vengono scoraggiate nel farlo. Meglio tacere, meglio non raccontare e non esporsi. Denunciare è prerogativa maschile.

L’ultima ruota del carro

Le donne anche nel mondo del caporalato sono in coda, in ultima fila per quel che riguarda le retribuzioni, le possibilità di reclutamento, il trattamento, i rimproveri, le mancanze di rispetto, gli abusi.

Triste. Ma credo che nessuno possa rimanere più di tanto stupito di fronte a queste situazioni e a questi dati.

Certo dovremmo esserlo. Siamo però troppo amaramente abituati, assuefatti da certe notizie. Da uomini con privilegi e uomini sfruttati, da uomini con posizioni di potere e donne che, pur sgomitando e dandosi da fare, rimangono sempre in un angolo.

Possiamo però provare a non farci più andare bene le cose. A disintossicarci da questa normalità che qualcuno vuole propinarci. Quanto meno a stare, nelle nostre scelte e azioni quotidiane, dalla parte di chi puntualmente viene lasciato indietro, tendendogli una mano e aiutandolo ad uscire da una situazione che probabilmente non ha scelto.

                                                                                                                                        Deborah Natale

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