Il canone occidentale è la Bibbia di ogni buon critico letterario del ventunesimo secolo. Nel suo capolavoro, Harold Bloom muove una critica all’istruzione molto precisa. Imparare a memoria una serie di autori non serve a nulla, soprattutto vista la quantità di materiale di cui disponiamo oggi. Bisogna fare una selezione: insegnare i migliori, quelli che hanno davvero qualcosa di ‘’oltre’’ da insegnare.
Harold Bloom è stato uno fra i più importanti critici letterari degli ultimi cinquant’anni. La sua opera Il canone occidentale esce nel 1994, e si pone al centro del dibattito sull’eredità dei classici: la cosiddetta ‘’guerra dei canoni’’. L’idea di fondo è che per educare alla letteratura non serva a nulla studiare quanti più autori possibile. Serve, piuttosto, insegnare i migliori, e cioè i ‘’canonici’’: la guerra dei canoni consisteva infatti nella lotta alla definizione di chi fossero questi migliori. Harold Bloom ci lascia ventisette nomi.
Fare una selezione
Così lascia scritto Harold Bloom nella prefazione al Canone occidentale.
Cerco di identificare gli autori canonici, vale a dire autorevoli nella nostra cultura, e le qualità che li hanno resi tali. […] E questo perché ci è necessario insegnare in maniera più selettiva, cercando quei pochi che abbiano la capacità di divenire lettori e scrittori altamente individuali.
Nel XXI secolo la quantità di testi a cui abbiamo accesso o che vengono pubblicati, studiati, insegnati, è vertiginosamente alta. Il nostro è un ‘’secolo caotico’’: e nel caos bisogna fare ordine.
Sono molte infatti persone che scrivono e pubblicano, ma questo non basta per dire che siano scrittori. A maggior ragione nell’epoca attuale, diviene necessario saper distinguere tra l’arte e tutto ciò che usa i mezzi dell’arte ma non è realmente tale.
Un canone occidentale è necessario ‘’anche perché siamo mortali’’: di tempo non ce n’è più di tanto, mentre c’è più da leggere di quanto ce ne sia mai stato prima.
Cos’è il canone occidentale?
Il termine ‘’canone occidentale’’ si riferisce a quei testi, per l’appunto, ‘’canonici’’, e cioè dotati di un intrinseco valore estetico. I libri oggettivamente grandi, per intenderci. Canone non è altro che traslitterazione del greco kanon, letteralmente ‘’canna’’, ‘’bastone diritto’’, e dunque in senso lato “regola“. Questa la definizione di Bloom:
Chi legga per la prima volta un’opera canonica, si imbatte in un estraneo, in una arcana sorpresa anziché una verifica di aspettative. A leggerli ex novo, tutto ciò che la Divina commedia, il Paradiso perduto, il Faust, Parte seconda, Peer Gynt, Ulisse e il Canto General hanno in comune è la loro misteriosità. La loro capacità di far sentire il lettore un estraneo in casa sua.
Un altro punto che tiene a sottolineare è che non può esservi scrittura forte in mancanza di influenza letteraria. Un fatto che, a detta di Bloom, non tutti coloro che scrivono hanno ben chiara.
La tradizione non è soltanto un retaggio o un processo di benevola trasmissione. È anche un conflitto tra genio passato e attuale aspirazione, il cui premio è la sopravvivenza letteraria. Ovvero, l’inclusione del canone.
Ogni robusta opera letteraria fraintende in modo creativo i testi dei suoi precursori.
Il giudizio non deve essere morale
Uno dei rischi che molto spesso si verificano nella definizione del canone occidentale, è l’attribuire un giudizio morale alle opere. Quando si dovrebbe pensare, invece, solamente al giudizio estetico.
Noi stiamo distruggendo tutti i metri di misura intellettuali ed estetici nelle discipline umanistiche e nelle scienze sociali in nome della giustizia sociale.
I criteri con cui definiamo la bellezza di un’opera letteraria – ma anche di una canzone, di un pezzo d’arte, di un film – non sono gli stessi con cui identifichiamo ciò che è giusto da un punto di vista etico. Ed è importante, ci dice Bloom, che questo non offuschi la determinazione del nostro canone occidentale. Di chi sono gli autori più brillanti della storia.
Noemi Eva Maria Filoni