“Il calzolaio di Vigevano” di Mastronardi racconta la storia di Mario, ossessionato dal lavoro e dal guadagno. Una vita fatta di frenesia che ci riporta indubbiamente ai giorni nostri
LA FRENESIA DI MARIO
Il calzolaio di Vigevano racconta la storia di un ciabattino, un uomo dedito ossessivamente al lavoro. Il suo obiettivo è aprire un saloncino in cui poter mostrare i suoi prodotti. La frenesia del guadagno porta Mario a sacrificare se stesso e gli altri, fino alla privazione di ogni forma di libertà. All’interno del romanzo salta qualsiasi tipo di dimensione privata, venendo meno la distinzione tra quest’ultima e la vita lavorativa. Non ci sono forme di rapporti sociali in un contesto simile. Dunque, le esigenze lavorative si pongono in primo piano rispetto a quelle del singolo. In un contesto di fabbrica tutti sono costretti a correre ma si resta immobili, nulla effettivamente migliora. Per guadagnare si è portati a privarsi di tutto, “dané fanno dané” pronuncia Mario. Tuttavia non vi è alcuna forma di benessere, non c’è felicità nella sua vita, anzi la sua esistenza diventa la storia di un fallimento.
ANNULLAMENTO DEI RAPPORTI E DI SE STESSI
Mario decide di sposare Lisa, ma in realtà a lui basta una donna che sia disposta a lavorare giorno e notte per realizzare il saloncino. La frenesia e la fretta si riversa anche nel matrimonio e il tempo dell’amore viene annullato. Nel loro rapporto salta ogni forma di sentimento. Nel momento in cui Lisa si ammala, stremata dal lavoro, la preoccupazione di Mario resta la fabbrica e per questo freme affinché la moglie possa tornare quanto prima a lavorare. Al momento di partire in guerra, il suo ultimo sguardo non va alla moglie, ma alle fabbriche intorno. La moglie lo tradisce e di questo lui non ha alcun interesse. Non c’è tempo per vivere un rapporto sessuale perché la notte si lavora. La stessa casa, da sempre spazio di intimità, diventa luogo di lavoro. Accanto al tavolo per pranzare si mette la macchina per la lavorazione della pelle e il pranzo non è più considerato momento di dialogo. Non esiste festività e il giorno di Natale chiede a Lisa di lavorare.
Non ci sono rapporti sociali né dentro e né fuori la fabbrica. Anche all’interno di essa non si ha la possibilità di relazionarsi perché il rumore delle macchine sovrasta la voce umana. I due personaggi diventano legati alla pelle e al cuoio, diventano pezzi del telaio. Non c’è modo per pensarsi al di fuori della fabbrica. Si perde la propria individualità e si diventa macchine.
OBIETTIVI DEL ROMANZO
Elio Vittorini decide di pubblicare sul Menabò “Il calzolaio di Vigevano” di Mastronardi perché vede in esso la possibilità di mostrare come si vive la società industriale. L’obiettivo è indagare ciò che sta oltre il guadagno e la superficie, dunque mettere in luce la nevrosi dell’uomo contemporaneo. Tutto questo ha delle ricadute nella vita privata. Non si ha più la possibilità di uscire da questa condizione e il lettore stesso prova un senso di soffocamento. Non c’è via alternativa.
LA FRENESIA DEI NOSTRI TEMPI
Una delle prime domande che il lettore si pone è se esiste differenza rispetto ai nostri tempi. Inevitabilmente la macchina per la lavorazione della pelle posta accanto al tavolo ci riporta ai nostri smartphone e pc sempre a portata di mano. Si ha la sensazione di dover andare di fretta, di non potersi fermare. Pranziamo leggendo le mail di lavoro. Lo smart working ha portato una forte irruzione del lavoro nella vita privata, non concedendoci veri momenti di libertà, di distinzione tra lavoro e casa.
Si vive un obbligo della velocità e l’idea di fermarsi viene percepito come negativo. Nel momento stesso in cui ci fermiamo, abbiamo la sensazione di perdere qualcosa, di essere in ritardo. Siamo ossessionati dal dover fare sempre di più e così ci dimentichiamo di noi stessi e degli altri. Viviamo i sentimenti e i rapporti di fretta, come Mario e Lisa.
Questa continua corsa non ci permette di soffermarci sugli obiettivi raggiunti, non riusciamo mai a vedere effettivamente ciò che abbiamo compiuto perché siamo già proiettati verso qualcos’altro.
Rallentare e capire che siamo umani e non macchine ci aiuterebbe a vivere davvero. Fermarsi per conoscere se stessi, per prendersi cura della propria persona. Prendersi del tempo per chiedere “come stai?” a sé e a chi è accanto a noi. Comprendere se si sta sbagliando qualcosa per non fare l’errore di Mario e quindi per non fallire.
Aurora Musicco