Chi ricorda ancora Il Codice Da Vinci di Dan Brown? Passato il giorno, gabbato lo scandalo. Però, la bibliografia a cui si è ispirato conserva un interesse non da poco. La Guida completa al Codice Da Vinci, curata da Michael e Veronica Haag (Milano 2005, Antonio Vallardi Editore), cita tra le fonti del romanzo un celebre saggio di Riane Eisler: Il Calice e la Spada. La presenza dell’elemento femminile nella storia da Maddalena a oggi (2006, Frassinelli).
Il titolo originale è: The Chalice and the Blade. Our History, Our Future (1987, HarperCollins). Se il titolo poco differisce dalla traduzione, significativo è il sottotitolo: “La nostra storia, il nostro futuro”. La prospettiva della Eisler guarda all’umanità nel suo complesso e tratta del passato per comprendere la direzione possibile per l’avvenire.
Riane Eisler (Vienna, 1931-) è una sociologa, procuratrice e saggista statunitense. Fu precocemente segnata dalla necessità di sfuggire al nazismo. Questo la portò a riflettere sulle condizioni che possono far sviluppare creatività, cura e coscienza, anziché violenza, insensibilità e crudeltà.
Il Calice e la Spada si avvale di scoperte come quelle dell’archeologa Marija Gimbutas in merito di Europa neolitica. La Gimbutas parla di “Europa antica”, ovvero antecedente all’arrivo dei nomadi indoeuropei provenienti dalle steppe intorno a Caucaso e Mar Nero.
“A differenza delle culture che avrebbero prevalso successivamente in Europa e nel bacino del Mediterraneo, le società dell’Europa antica erano egualitarie, e con una consistente classe media dovuta agli sviluppi del commercio. In esse, soprattutto, il rapporto fra i sessi era equilibrato e paritario: le donne potevano svolgere funzioni sociali importanti, di capo clan, e nella veste di sacerdotesse esercitavano una particolare autorità in ambito religioso.
Il calice della convivialità generatrice e la lama della spada annientatrice sono le due metafore con le quali Riane Eisler ha pregnantemente riassunto nel titolo di questo libro le divergenze fra gli aspetti materiali e simbolici di questo «mondo perduto» rispetto ai modi di vita che avrebbero successivamente prevalso.” (Il Calice e la Spada…, presentazione di Mauro Ceruti, pp. IX-X).
Parlando di arte neolitica, la Eisler sottolinea la preponderanza di simboli tratti dalla natura: le “greche” che stilizzano il fluire delle acque, incisi su un altare del 5000 a.C. in Ungheria; gigantesche teste di toro dipinte sui muri dei templi di Çatal Hüyük (in Turchia), porcospini in terracotta dalla Romania meridionale, vasi rituali a forma di cerva dalla Bulgaria, uova in pietra con facce di pesci, vasi per il culto a forma di uccelli, farfalle (simboli di metamorfosi e dei poteri di trasformazione della Dea). Alla stilizzazione della farfalla, la Eisler riconduce anche la forma della doppia ascia cretese.
“Come il serpente, che muta la pelle e «rinasce», essa faceva parte dell’epifania della Dea, era uno dei simboli dei suoi poteri di rigenerazione. E ovunque, nei dipinti murali, nelle statue e nelle statuette votive, troviamo immagini della Dea. Nelle sue varie incarnazioni di Vergine, Progenitrice o Creatrice, essa è la Signora delle acque, degli uccelli e degli inferi, o semplicemente la Madre divina che culla il figlio tra le proprie braccia.” (Op. cit., p. 47)
E da Creta riparte il viaggio ideale della Eisler. Oltre a quelle artistiche, ci sono considerazioni economiche di non poco conto. Non vi sono, per la civiltà minoica, testimonianze di condizioni di vita misere. La burocrazia dei palazzi serviva anche e soprattutto per ripartire le ricchezze, spesso sotto forma di lavori pubblici. I Cretesi non rifiutarono la guerra, per difendere le coste e i commerci marittimi. Hanno infatti lasciato armi di altissima qualità tecnica. Ma le testimonianze della loro cultura non idealizzano la violenza.
Un mito che la Eisler si preoccupa di sfatare è questo: “Se non è patriarcato, deve essere matriarcato”.
“Secondo il modello prevalente, in base al quale la divisone in classi è il più importante principio d’organizzazione, se le donne hanno una condizione sociale elevata se ne deduce che quella degli uomini debba essere inferiore. […] Ma questa conclusione non è assolutamente confortata dalle testimonianze archeologiche. […] Per esempio, la foggia dei vestiti col seno scoperto delle donne e gli abiti da uomo succinti, che evidenziavano i genitali, rivelano uno schietto apprezzamento delle differenze sessuali e del piacere che queste rendono possibile. Da ciò che ora sappiamo grazie alla moderna psicologia umanistica, questo «vincolo del piacere» deve avere consolidato un senso di reciprocità tra donne e uomini in quanto individui. […] Insieme al loro entusiasmo per gli sport e per la danza, alla loro creatività e amore per la vita, questi atteggiamenti liberati verso il sesso sembra abbiano contribuito allo spirito generalmente armonioso e pacifico che dominava la vita a Creta.” (Op. cit., pp. 77-78)
[Continua]
Erica Gazzoldi