Il bracconaggio nelle riserve africane è il responsabile principale della diminuzione del 30%, dal 2006, della popolazione degli elefanti
Per i ranger di alcune riserve naturali africane è purtroppo uno spettacolo triste e fin troppo comune: il corpo di un elefante, crivellato di proiettili, a cui sono state tolte le zanne.
Alcune riserve, come Garamba nella Repubblica Democratica del Congo e Selous in Tanzania, hanno perso centinaia di elefanti a causa dei bracconieri nell’ultimo decennio. Ma altre, come il Parco nazionale di Etosha in Namibia, sono state prese di mira molto meno. Da cosa dipende ?
I numeri del bracconaggio variano molto in Africa, c’è qualcosa che spinge, motiva e facilita il bracconaggio. Mettendo in relazione i livelli di bracconaggio di 64 siti africani con vari fattori socio-economici, tra i quali, la qualità della governance di un Paese e il livello di sviluppo umano nell’area circostante il parco, risulta che il bracconaggio è più basso dove c’è una forte governance nazionale. Dove i livelli locali di sviluppo umano – soprattutto ricchezza e salute – sono relativamente alti.
Anche una forte applicazione della legge a livello locale e la riduzione dei prezzi globali dell’avorio mantengono bassi i livelli di bracconaggio.
Il commercio illegale di fauna selvatica è uno dei settori di commercio illecito di maggior valore a livello globale, con una stima di diversi miliardi di dollari ogni anno. Rappresenta una grave minaccia per la biodiversità e gli ecosistemi, che sono la base del benessere umano.
Gli elefanti non sono solo un’icona culturalmente significativa. Sono “ingegneri dell’ecosistema”, in grado di incrementare gli stock di carbonio nelle foreste e di diversificare gli habitat grazie alla loro alimentazione. La loro presenza nei parchi nazionali e nelle riserve ha anche benefici economici, in quanto porta preziosi introiti turistici.
Quando gli elefanti muoiono, perdiamo tutti.
I ranger della fauna selvatica, nell’ambito del programma globale di monitoraggio dell’uccisione illegale di elefanti (MIKE), gestito dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES), hanno raccolto dati per 19 anni, dal 2002 al 2020, su 10.286 elefanti uccisi in 64 differenti siti di 30 paesi africani. I dati sono stati poi collegati, da parte della The Royal Society, a informazioni socio-economiche relative alle aree circostanti i parchi, ai singoli Paesi e ai mercati globali.
Il bracconaggio di specie di grande valore, come elefanti e rinoceronti, è guidato principalmente da ben organizzati gruppi criminali.
I parchi con livelli più elevati di sviluppo umano e con una maggiore applicazione della legge, hanno subito meno bracconaggio. Questo è risultato minore anche nei Paesi in cui la qualità della governance nazionale era forte, in base agli indicatori della Banca Mondiale.
I fattori socioeconomici e politici erano molto più comuni di quelli ecologici. L’accessibilità e le dimensioni di un parco, la densità della vegetazione e la popolazione di elefanti non hanno influenzato i livelli di bracconaggio.
Le forti associazioni trovate tra il bracconaggio e fattori come la corruzione e lo sviluppo umano, non implicano necessariamente un rapporto di causa-effetto.
Ricerche più approfondite in particolari siti riveleranno quali processi sottostanti sono in gioco e offriranno una migliore comprensione di causa ed effetto.
Tuttavia, dall’analisi dei dati, una domanda sorge spontanea.
Perché livelli più elevati di benessere umano in un’area sono associati a una riduzione del bracconaggio?
Una spiegazione potrebbe essere che, in aree di deprivazione economica e in assenza di alternative, i residenti locali potrebbero partecipare al bracconaggio per soddisfare le loro esigenze di base o guadagnare un reddito extra.
Un’altra interpretazione potrebbe essere che le organizzazioni criminali dell’avorio che cercano di reclutare cacciatori locali si rivolgono a zone con un minore benessere umano.
Alcuni attori della conservazione della biodiversità, come i dipartimenti governativi per la fauna selvatica o le ONG ambientaliste, hanno già riconosciuto il valore di concentrarsi sul miglioramento del benessere umano nei pressi di parchi e riserve. Un esempio emblematico è il modello di conservancy della Namibia. Questo modello consente di ottenere una conservazione efficace attraverso le comunità locali che gestiscono la fauna selvatica e ne traggono beneficio.
Non ci si può aspettare che “i conservazionisti” risolvano da soli i problemi di sviluppo umano locale o che responsabilizzino i governi. E’ necessaria un’azione sociale più ampia per affrontare la povertà. Ciò potrebbe includere l’emancipazione delle donne, l’aumento dell’accesso all’istruzione di base e la promozione della resilienza ai cambiamenti climatici. Queste azioni sono preziose di per sé, ma probabilmente produrranno benefici anche per gli elefanti.
Infine, la relazione positiva che abbiamo riscontrato tra il bracconaggio e i prezzi dell’avorio suggerisce che affrontare la domanda di fauna selvatica illegale nei mercati finali è una parte fondamentale del puzzle.
Per affrontare il bracconaggio degli elefanti, e di fatto il più ampio commercio illegale di fauna selvatica, è necessario affrontare le più grandi sfide sistemiche dello sviluppo umano, della corruzione e della domanda dei consumatori. Non è sufficiente concentrarsi sulle azioni tradizionalmente definite come “conservazione della fauna selvatica”.
Sempre nell’attesa che l’umanità comprenda che è essa stessa parte della fauna selvatica.