L’Italia è un paese “troppo lungo” come dicevano gli Arabi : uno strano paese, più che un Belpaese.
Tutto uno strapaese. Che si ritrova in piazza sempre più, ma solo purché la piazza sia telematica.
E allora su Facebook milioni di persone si affrettano ad assicurare di essere salve dal terremoto, a persone che non esistono, o cui non interessa.
In realtà milioni di individui si sforzano di dimostrare, prima di tutto a sé stessi, di essere davvero vivi.
La salvezza in questa epoca senza déi passa infatti attraverso la vita mediatica, dall’illusione di stringere un rapporto di comunicazione con gli altri.
Un Belpaese ma molto frammentato: terra di montagne
In questo senso, dire che siano salvi è falso.
Perché la comunità è un sogno del passato e sempre più, insieme alle tribù, vincono gli individualismi.
Locali e personali che essi siano.
L’Italia è un paese troppo complicato, a causa principalmente della propria natura: montuosa e irregolare. Anche se, assurdamente, il popolo che lo abita si figura di vivere su un territorio pianeggiante, aperto e fluido.
La frammentazione dello spazio fisico ha invece determinato quella politica e sociale e le relative chiusure.
Col risultato che, dopo 150 anni dall’unità, è banale dirlo ma dobbiamo ancora fare gli italiani.
E che l’istinto a chiudersi nel proprio interesse e nei propri giri particolari prevalga sempre più.
Quell’Appennin che parte…
Bisogna dire poi che da un certo momento in avanti la percezione dell’orientamento e della dislocazione delle culture nazionali è stata proiettata su di un asse Nord/Sud. Per cui noi normalmente parliamo di Italia settentrionale, meridionale e poi al centro una Italia che partecipa delle una e delle altre qualità ( in minor misura dei difetti). Ma se oggi vediamo le cose così, ebbene per secoli quella percezione è stata diversa.
I nostri avi ne capivano più di noi.
Pensavamo a una Italia orientale ed una occidentale.
Per il fatto che, come testimonia il famoso verso di Petrarca, l’asse distintivo della Penisola è stato quello est/ovest. E questo in quanto l’importanza maggiore non è stata attribuita alle Alpi, quale confine che ci differenziava dallo straniero, ma all’Appennino : quale confine che ci differenziava all’interno.
I flussi economici e socioculturali per secoli, e in qualche misura anche oggi, sono stati “spartiti” proprio dallo spartiacque appenninico. Per cui la vita procedeva dall’interno verso il mare, l’Adriatico oppure il Tirreno, e viceversa. E le due parti del Paese ben poco comunicavano e commerciavano.
Si può dire che per gran parte del tempo, ad esempio, quelle di Venezia e di Genova siano state storie parallele e separate.
Ma anche le storie di una metà o dell’altra degli Abruzzi, o delle Calabrie, orientate in senso opposto e separato.
Ci sono state eccezioni ma la realtà sul lungo periodo è stata questa.
L’unico attore a superare questa dinamica è stata Milano, che non a caso non è mai stata così vicina come oggi ad incarnare l’ideale di “capitale morale” – magari ancor più per i demeriti altrui, che per i meriti propri.
Il disastro degli ultimi cinquant’anni
Infatti, la spinta al particolarismo determinata dalla natura montuosa del Belpaese, è stata portata al parossismo nell’ultimo mezzo secolo.
Periodo durante il quale è stato costruito più che nei tre millenni precedenti.
Col risultato di devastare e rendere più fragile il territorio – e di sclerotizzare e indebolire le relazioni sociali e fra le generazioni.
Perché le case rivestono valori benefici – ma anche negativi, perché sono energie accumulate e “bloccate”. E più che rinsaldare le radici, rinserrano nel proprio piccolo spazio abituale.
Investire nelle case vuol dire disinvestire in altri valori.
L’unico obiettivo è stato quello di appagare il proprio Io e il nostro portafoglio, agevolando l’acquisto di una casa di proprietà a tutti gli italiani.
Tutto questo “capitale immobiliare”, e in parte finanziario, ha però ulteriormente depauperato il nostro “capitale sociale”.
Il Belpaese è sempre più il paese dei particolarismi, degli individualismi, dei narcisismi e degli egoismi.
Rischiamo perciò di tornare ad essere soltanto la terra dei guelfi e ghibellini – senza più neanche un Dante che ci riscatti.
Narcisismi, egoismi…sismi e ismi che vanno di pari passo.
Il terremoto che ha colpito il Belpaese: cosa ci insegna
Il terremoto, che ha colpito al cuore (o forse meglio, alla spina dorsale) il Belpaese, può quindi anche funzionare come una cartina di tornasole delle lacerazione sia nella trama sociale che in quella territoriale.
In sintesi, è stato determinato dai movimenti della placca africana che spinge da sud quella europea, e dai contromovimenti di quest’ultima.
Di recente, sembra essersi allentata la spinta della placca meridionale, mentre quella settentrionale dopo aver accumulato moltissima energia ha finito per strapparsi, forse perché le è mancato il “sostegno” della parte ancor più settentrionale, che invece è andata allontanandosi come per contraccolpo, o forse per l’inerzia della spinta che aveva anch’essa accumulato in precedenza.
Aldilà dei vari sottosistemi presenti sotto la placca di cui fa parte l’Italia, è successo che il Belpaese si sia comportato come una coperta troppo corta, che tirata da una parte e dall’altra, si rompe.
Rivelando, per di più, un intricato insieme di faglie numeroso e brevi, che si contagiano fra di loro a catena.
Ecco la dinamica dei due mesi trascorsi, relativamente alla crosta terrestre, per cui “ la parte a Ovest, verso il Tirreno, è scivolata giù. Quella verso l’Adriatico si è sollevata” come ha spiegato alla stampa il sismologo Pantosti.
L’Appennin parte…cioè divide, fra Adriatico e Tirreno. Insomma la natura torna a ricordarci la realtà delle cose con cui dobbiamo fare i conti: per trovare soluzioni, e non illusioni.
Storia e Natura maestre di vita
Da sud continua la pressione migratoria, e il mare con tutti i suoi drammi ci circonda. A nord le Alpi segnano il confine con una Europa così poco intraprendente (mentre spesso hanno rappresentato proprio una via di comunicazione). E l’Appennino si scuote nella sua danza macabra, contribuendo a far emergere le faglie e le spaccature del Belpaese.
Se vogliamo davvero continuare a chiamarlo così, dobbiamo far tesoro degli insegnamenti della natura e della storia. Se c’è un Dio, è questo l’unico messaggio che può averci indirizzato.
ALESSIO ESPOSITO