Il 25 aprile non tormentare l’albero
Partiamo da un presupposto: il fascismo è una malattia da branco. Il fascista singolo non esiste. Se uno xefonofobo, totalitarista e nazionalista, venisse scaraventato da solo in mezzo a un gruppo di ebrei Falascia incazzati neri col ciufolo lancerebbe slogan antisemiti o razzisti mostrando il petto alla patria. Anzi, cercherebbe un dialogo, un colloquio, tentando maldestramente – nel contempo – di tamponare alla bene e meglio l’impellente e improvvisa urgenza di defecare.
Il fascismo è fisico e minaccioso solo nella misura in cui dilaga. Certo, nel momento in cui si insedia un ridicolo ministro degli interni che fa credere a una massa di ignoranti insoddisfatti di risolvere i problemi del mondo con inutili chiacchiere e con una virilità tarocca da sfoggiare verso poveri disgraziati, risulta quasi naturale che le mosche si raccolgano attorno al letame.
Ma è proprio in quel momento, nel picco più alto e più insignificante di tale fenomeno, segnato dal raggrumarsi di sterco su sterco, che l’infezione, la malattia, l’epidemia fascista prende piede.
“Restate vigili. Vedete che il fascismo può tornare, non pensate che sia stato sconfitto, non abbassate mai la guardia, difendete i diritti di tutti, la libertà di opinione, la libertà di espressione, perché basterà un niente.”
Ebbene avevano ragione, loro sapevano, oh sì se ne erano coscienti.
Ora la libertà è un’altra cosa, è un sottoprodotto mercificato dell’opportunità pronta a creare bisogni: la libertà non di espressione ma di esprimersi anche a sproposito, non di un’opinione ma di aver ragione, anche se dichiaro che la Terra è piatta. La libertà non è una responsabilità verso chi amiamo o ci ama, anzi, mi azzardo ad andare oltre, nei confronti di chiunque, persino di coloro che mai ameremo o conosceremo, né un lascito solido e ben piantato per le generazioni a venire. No, la libertà è un’ipocrisia di convenienza avulsa da responsabilità e impegno. Mi ricorda un po’ l’occidentalizzazione dei principi orientali.
Tutti (nonostante siamo totalmente immersi nella società dei consumi) predicano il non attaccamento, ma nessuno valuta quante bestialità o cazzate si commettono nell’attaccarsi morbosamente ad una maldestra interpretazione del non attaccamento. Facciamocene una ragione, non siamo orientali, tenderemo sempre ad adattare alle nostre categorie qualsiasi cosa.
Chi davvero ci ha provato non è rimasto a casuccia a fare gli “esercizietti” di meditazione nel cortile di casa, ha sacrificato tutto per una causa, per conoscere. Non è che possiamo prendere quello che ci piace e ci è più comodo e poi tralasciare quello che ci chiama a un radicale cambiamento, che per inciso costa sempre rinunce e sacrifici.
Ah, la libertà oggi è “il mettere in crisi tutto per capire”! Oh, che grande sforzo, quale impegno ontologico e personale! Dio io spedirei su Marte in mutande tutti quegli stronzi che mi dicono: “sai, io sto facendo un percorso!” Quelli che si illuminano a cazzi loro. Quelli che abbracciano gli alberi… Oddio! E se l’albero voleva stare per i cazzi suoi? Stai in una foresta?
Cerca di abbracciare un procione, se si fa prendere vuol dire che qualche coccola la voleva anche lui, non rompere le palle all’albero che per forza di cose è costretto a stare lì. Insegui una marmotta, un topo muschiato, una pantegana, una puzzola con la diarrea, impegnati pure tu cazzo! Cerca di copulare con qualcosa che possa opporti resistenza o manifestare consenso. Questi poveri alberi che ti hanno fatto per meritare la tua più assoluta e ridicola repressione?
Oggi la libertà è questo, desiderare qualcosa: spirituale, materiale – o per i più furbi tutte e due le cose, tanto coincidono –, desiderare qualunque cosa nei modi e nei tempi che vogliamo. La libertà è un capriccio vestito da ideale, un desiderio personale ammantato da posticcia spiritualità, è il pretesto per generare bisogni di qualunque tipo: è la lampada di sale per respirare ionizzato, il vestito di canapa perché fa tanto alternativo, l’amore libero perché fa tanto “fotti fotti” generale, il non “impegno” perché altrimenti “mi sento soffocare”.
E queste libertà, ormai sacrosante … e guai a chi le tocca… non ci sarebbero state se un giorno ragazzi e ragazze normali – migliori di noi, molto migliori di noi – non avessero rischiato le loro vite per garantircele. Molti di loro sono morti, ma tanti altri, dopo, sono tornati alle loro vite, vite straordinariamente normali, semplici. Ci hanno liberato per poi essere cittadini liberi in una società libera. Non hanno abbracciato alberi, né hanno dichiarato – appena le cose andavano un po’ storte – che “dovevano fare un percorso di comprensione e auto consapevolezza”. No, erano persone serie, normali. Più che intelligenti, semplici, estremamente semplici, straordinariamente essenziali come la libertà che hanno difeso.
Poi l’hanno lasciata a noi, ma questa – purtroppo – è un’altra storia.
Comments 1