Nel 2024 si è molto parlato di Cpr, i Centri di permanenza per i rimpatri italiani. Al centro del dibattito c’è stata infatti la questione Albania, con l’oneroso e disumano progetto dei centri a Gjader e Shengjin. Nel frattempo, nei Cpr in territorio italiano la situazione continua ad essere drammatica.
Il Comitato contro la tortura pubblica un rapporto sulle condizioni nei Cpr italiani
Le condizioni di vita e di detenzione nei Cpr italiani sono disumane. E non lo dicono solo attivisti, solidali e associazioni che quotidianamente si battono per denunciare tali condizioni. La conferma è arrivata dal Consiglio Europeo e in particolare dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamente inumani o degradanti (CPT). Tale comitato ha infatti pubblicato il 13 dicembre 2024 un rapporto su alcune visite condotte ad aprile 2024 in 4 Cpr italiani, quelli di Milano, Gradisca, Potenza e Roma.
Il rapporto del Cpt critica i quattro Cpr italiani in maniera olistica. Tutto ciò che avviene all’interno dei Cpr è stato giudicato come degradante e inaccettabile. Non che queste critiche stupiscano: da anni, ogni giorno, associazioni come la rete Mai più Lager – No ai Cpr o l’associazione Naga e varie testate giornalistiche raccolgono testimonianze e denunciano sistematicamente le infrazioni dei diritti umani che avvengono all’interno di questi luoghi.
Tra le accuse più gravi vi è quella riguardante i maltrattamenti fisici che avvengono all’interno dei centri in particolare da parte dei corpi di polizia che spesso abusano della propria posizione per infierire sui detenuti. Questo aspetto, tra l’altro, preoccupa enormemente a causa del ddl sicurezza divenuto quest’anno legge, ddl che condanna con ulteriori pene tutte le proteste, anche passive, che avvengono nelle carceri, nei Cpr e nei centri di accoglienza. Le strutture dei Cpr italiani, descritte come carcerarie, sono luoghi privi di qualsiasi tutela o di attività che possano rendere un luogo vivibile e tollerabile: sono assenti attività ricreative, gli spazi, come celle, servizi e aree comuni, hanno scarse condizioni igieniche, il cibo servito è scadente. Più volte sono apparse immagini sulle pagine social di varie associazioni del cibo avariato servito ai detenuti. Infine, sono insufficienti aspetti di vitale importanza, come l’accesso a una completa assistenza sanitaria o a un supporto legale.
Estremamente grave è il fatto che inoltre, da questi luoghi, è estremamente complesso per le associazioni carpire informazioni e raccogliere testimonianze da parte di chi vive questo orrore quotidianamente. Solo nel Cpr di Milano è ammesso tenere i cellulari e quindi portare avanti indagini nei buchi neri dei Cpr è spesso difficile. Le informazioni arrivano quindi frammentate, in ritardo, ma nonostante ciò colpiscono nella loro devastante crudezza: i video e le fotografie di atti di autolesionismo, pestaggi, tentati suicidi sono elementi sufficienti per richiedere l’immediata chiusura di tali centri.
L’immagine che emerge dal report del CPT è quella che da anni si cerca di restituire dei cpr italiani: zone grigie, dove i diritti umani vengono sistematicamente infranti, buchi neri da cui è difficile carpire informazioni e testimonianze, non luoghi marginalizzati in cui dimenticare le persone detenute. Strutture che dovrebbero suscitare vergogna in tutta la cittadinanza, che tutte le istituzioni dovrebbero condannare. E invece, anche in questo caso, al posto di fare ammenda e cercare immediatamente soluzioni alternative, la risposta dal Viminale non ha tardato ad arrivare,
«Parziali e incomplete le informazioni ottenute dal Consiglio d’Europa, non risulta nessun trattamento sanitario improprio».
Parziale e vergognosa la risposta, che si concentra solo su uno delle infinite problematicità rilevate dal CPT e che soprattutto non accenna alla volontà di effettuare controlli e di porre fine all’orrore dei cpr italiani.
Il Cpr di via Corelli a Milano: il 2024 in uno dei Cpr più noti
Il Cpr di via Corelli a Milano è uno dei più noti tra i Cpr italiani. Da tempo al centro di denunce e richieste di chiusura da parte delle associazioni, nel 2024 è stato al centro di una serie di eventi che sottolineano la drammaticità della situazione. Era già stata qui data notizia dei tentati suicidi e degli atti di autolesionismo verificatesi in questo centro come anche delle drammatiche condizioni di vita durante l’estate 2024. Ad agosto, nel Cpr di via Corelli a Milano, nelle celle senza ventilazione si sono raggiunti i 45 gradi di temperatura, con le persone costrette a dormire in cortile tra spazzatura e insetti, mangiando cibo avariato e bevendo acqua servita bollente, condizioni che innalzano i rischi per la salute. Dopo una visita nel Cpr di via Corelli in estate, l’infettivologo Nicola Cocco della rete Mai più Lager – No ai Cpr aveva dichiarato
«Un film dell’orrore. […] Faremo al più presto una segnalazione alle autorità competenti, vivere in quelle condizioni è molto pericoloso per la salute delle persone trattenute».
Sul Cpr di via Corelli a Milano ci sono state recenti evoluzioni. Quest’anno, infatti, l’ANAC, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, aveva condannato la Prefettura di Milano, ente appaltante del centro, per i mancati controlli dell’operato sull’ente gestore del Cpr di via Corelli, la Martinina srl. In seguito era quindi stata avviata un’inchiesta da parte della Procura di Milano che ha confermato le irregolarità da parte della Martinina Srl.
Lo scorso 18 dicembre, durante l’udienza preliminare del processo al Cpr di Milano, il gip Mattia Fiorentini ha respinto la domanda di patteggiamento da parte degli imputati, gli amministratori della Martinina Srl Alessandro Forlenza e Consiglia Caruso, accusati di frode in pubblica fornitura e turbativa d’asta. Assente tra gli accusati la Prefettura di Milano.
Era già stato richiesto il rigettamento del patteggiamento da parte delle associazioni che, fortunatamente, sono state accettate come parte civile nel processo. L’associazione ASGI, Spazi circolari, Le Carbet e Arci si sono recentemente aggiunte come parti civili a due ex detenuti del Cpr di via Corelli, all’ente Antitratta Be Free e al Naga. Nonostante la soddisfazione e l’importanza dell’ammissione di tali associazioni, enorme è la delusione, e anche i dubbi, sul passo indietro fatto dal Comune di Milano che ha deciso di non costituirsi parte civile alla vigilia del processo. Inspiegabile questa scelta agli occhi dei consiglieri che lo scorso aprile avevano presentato a Palazzo Marino un ordine del giorno che invitava il sindaco e la giunta a costituirsi parte civile, Alessandro Giungi (Pd) e Carlo Monguzzi (Verdi). I due consiglieri hanno dichiarato che è stata persa da parte del comune di Milano l’«opportunità per dimostrare l’impegno per una Milano che si fonda sui principi di giustizia, solidarietà e rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo». Tale passo indietro lascia confusi e con l’amaro in bocca, facendo percepire il Cpr di via Corelli come una ferita nella città di Milano, un luogo che sembra quasi voglia essere dimenticato anche da chi, in primis, dovrebbe denunciarlo come disumano, da parte di chi non dovrebbe ammetterne l’esistenza. La vergogna, sentimento che spesso viene schiacciato in fondo alle coscienze di tanti, dovrebbe essere la bussola che guida le scelte di chi ha il potere di fare la differenza. Bussola che, in questo caso, sembra essersi rotta tempo fa, come dimostrano i fatti verificatesi continuativamente nel 2024 nel Cpr di via Corelli confermano.
Verso un 2025 che non propone prospettive positive
Verrà spontaneo chiedersi come sia possibile che dopo denunce, pubblicazioni di video, inchieste portate avanti da numerose testate giornalistiche su vari Cpr italiani, condanne da parte di enti europei e processi in atto, la politica sui Cpr italiani non accenni nemmeno un lieve cambio di direzione. Il governo ha annunciato che a gennaio ripartirà il progetto Albania nonostante l’opposizione della società civile e le denunce delle associazioni; e ancora, ad agosto il Cpr di via Corelli è stato assegnato a Ekene, cooperativa sociale già innumerevoli volte denunciata dalla rete Mai più Lager – No ai Cpr. Il nuovo gestore del Cpr, che dal 2019 ha in carico il Cpr di Gradisca d’Isonzo e dal 2022 quello di Macomer, è infatti avvolto da numerose ombre. Contratti falsi allegati nelle sue offerte nelle gare di appalto per gli altri due Cpr, 4 detenuti morti in due anni nel Cpr di Gradisca di Isonzo sotto la sua gestione, la denuncia di un report a cura di NAGA e Mai più lager sulla violenza del Cpr di Macomer pubblicato lo scorso ottobre non sono evidentemente prove sufficienti non solo per togliere la gestione di questi centri ad Ekene, ma neanche per evitare l’assegnazione di un altro appalto.
Sgomento e amarezza sono le sensazioni dominanti. Vergogna, come già detto precedentemente, l’unica che dovrebbe guidare le azioni di tutti. Dalle associazioni alla società civile, dai consiglieri al governo. E mentre i Cpr italiani sono luoghi che quasi non ci si capacita di come possano esistere in uno Stato di diritto dato la loro evidente incostituzionalità, il governo porta avanti imperterrito il progetto Albania. Non bisogna spingersi oltre i confini nazionali per trovare luoghi di detenzione che sono l’inferno. Ma sembra che spesso sia più facile chiudere gli occhi davanti alle proprie responsabilità, perché fa comodo dimenticarsi di questa parte di popolazione. Ma le storie di queste persone, la detenzione disumana cui sono soggette in Italia, sono sufficienti per perseguitare i sogni di chi avrebbe potuto fare qualcosa ma, ancora una volta, ha preferito girarsi dall’altra parte.