La compagnia, che vanta 328 negozi in 28 paesi diversi e più di 770 milioni di visite si contraddistingue ancora una volta per la sua attenzione ai temi di salvaguardia e cura del pianeta.
Sostenibilità ambientale prima di tutto, qui si sviluppa la strategia di Ikea, la celeberrima casa di produzione svedese, ormai ben nota per le sue evoluzioni avveniristiche e a basso costo.
La nuova frontiera in termini economici, potrebbe essere il noleggio di mobili e complementi d’arredo, in soccorso all’acquisto mordi e fuggi di cui siamo tristemente attori.
Lo ha spifferato al World Economic Forum di Davos, l’amministratore delegato di Ikea Jasper Brodin, confermando quanto ancora l’azienda sia parte attiva oltre che di un importante processo innovativo, anche di una campagna di canalizzazione dell’acquisto verso principi ecosostenibili.
Una politica attenta
Niente di nuovo, per un colosso da sempre impegnato a sviluppare nuovi canali e strategie, utili ad educare il consumatore già risucchiato dalla fast fashion e dal teatrino al ribasso. Ikea, protagonista nella stessa occasione del “Circular Economy Award”, ha incentrato il suo prospetto operativo, sul bene come entità infinita o quasi, che diventa parte integrante di più esistenze. Niente male in tempi di Sharing Economy, sopratutto considerando le potenzialità future. Quello studiato è un punto a più sbocchi che, cavalcando l’onda dell’acquisto forsennato scongiura l’altrettanto fugace cumulo di lerciume. Il premio è stato riconosciuto ad Ikea proprio in segno di riconoscenza per il suo lavoro d’affiliazione sostenibile. E mostra quanto fare business in attivo non porti necessariamente a carenze di salvaguardia sociale e impegno tollerante verso l’ambiente.
“Siamo fieri di questo riconoscimento che rinforza la nostra visione di creare una quotidianità migliore per molte persone. La sostenibilità deve essere integrata agli interessi su tutti i livelli”
Patrik Antony, Country manager di Ikea India
Una prospettiva solidale che il colosso svedese ha già reso realtà in varie parti del mondo. In Giappone ad esempio, Ikea ha da poco lanciato una campagna per il riutilizzo di alcuni mobili. Il cliente può così portare ad esempio il proprio divano, affinché venga riciclato e perché no comprarne proprio lì uno nuovo.
“ Trasformare Ikea in un business circolare è uno delle più grandi ambizioni e cambiamenti che possiamo attuare nel futuro. Siamo solo all’inizio e il premio ci conferma quanto questa sia la strada giusta”.
Peter Von Der Poel, Direttore Managing Inter Ikea Group.
Il modello del precariato
Il nuovo impegno Ikea, parte invece dall’analisti di un problema che noi italiani conosciamo molto bene, la precarietà. Lasciando da parte tutto ciò che il precariato si trascina parlando di immobilismo economico, azzerando le polemiche e sorvolando su quanto anche in questo senso la circolarità si ripercuota (questa volta in un’accezione negativa) in quella fantomatica crisi che ci consuma la pelle.
Il fatto che ci si trovi in una situazione pressoché instabile è un dato di fatto e se si può trovare uno spiraglio di positività in questo perché non buttarcisi a capofitto con tutte le scarpe.
Questo è quanto Ikea ha deciso di fare. Partendo dalla transitorietà degli impieghi e dal continuo spostamento lungo i margini del mondo ha sviluppato un modello che cavalcasse l’onda. Rendendo nell’effettivo tutti felici e contenti.
“Stiamo testando delle soluzioni radicali. Se gli ultimi anni sono stati quelli del consumismo di massa ora è tempo della circolarità di massa”
Jasper Brodin per Telegraph
Pensiamo ad esempio a città come Londra, al via vai di persone che l’affollano, spesso per brevi periodi di tempo. Data la necessità impellente e spesso improvvisa di acquistare degli arredi e considerando l’altrettanta impellente e improvvisa necessità di sbarazzarsene. L’idea di poter possedere provvisoriamente un oggetto oltre che essere poetica è a dir poco geniale.
Grandi risultati per piccoli sforzi
Dai 4 miliardi di tonnellate di rifiuti prodotte ogni anno nel mondo, solo nel 2009, pensiamo all’entità degli scarti che emettiamo quotidianamente perché non più abituati oltre che a risiedere in uno stesso posto per tutta la vita anche a conservare un oggetto per altrettanto tempo.
E pensiamo invece quanto anche l’ottica di possesso possa essere cambiata così da giovare alle proprie necessità ma anche al posto nel mondo che si occupa. Pendolari, studenti ma anche lavoratori di passaggio. Tutti diventerebbero parte di un discorso più grande di preservazione e tutela, con il minimo sforzo.
D’altronde ci siamo già facilmente abituati all’idea del leasing e del comodato. Questo sarebbe solo un nuovo passo verso la creazione di cicli di vita durevoli ed eticamente giusti.
Monica Bertoldo