Nelle generazioni passate sacrificavamo la vita per il bene del nostro Paese. Oggi, non riusciamo nemmeno a rinunciare a qualche svago fuori casa.
Ai nostri bisnonni è stato chiesto il sacrificio della propria unica vita per spostare un confine. Era orribile. Era ingiusto. Era un obbligo. Ma l’hanno data.
Ai nostri nonni è stato chiesto il sacrificio della propria unica vita per difendere il Paese e la libertà.
Era orribile. Era giusto. Era un dovere morale. E l’hanno data. Morendo con orgoglio.
Ai nostri padri è stato chiesto il sacrificio di 365 giorni sotto la leva: capelli rasati, alzabandiera, amici e fidanzata e famiglia fuori.
Era un obbligo, per molti uno spreco, ma quei 365 giorni li hanno dati.
A noi è stato chiesto il sacrificio per qualche giorno di qualche apericena, di una pizza al pub e del weekend in montagna a sciare.
Ma niente. Non ce la facciamo.
In ballo c’è il collasso del sistema sanitario nazionale, dell’economia mondiale, dei nostri posti di lavoro e, ah sì, della vita nostra e dei nostri cari.
Ma non ce la facciamo.
Non ci è stato chiesto di rinunciare alla nostra vita.
Non ci è stato richiesto di rinunciare a un anno della nostra esistenza.
Ci è stato solo chiesto di rinunciare a qualche svago fuori casa, per qualche settimana, al fine di non dover patire e far patire sacrifici ben più gravi e di decenni a milioni di persone.
Ma niente, non ce la facciamo.
Ci è stato chiesto di starcene fermi a casa per qualche giorno. Non in caserma o al fronte. A casa. Dove leggere, guardare la tv, mangiare, fare l’amore, giocare ai videogiochi, lavorare, telefonare. Con la possibilità sempre per carità di prenderlo anche un caffettino fuori o fare la spesa.
Ma il resto, il resto per qualche giorno no.
E invece niente, non ce la facciamo.
Emilio Mola