Una nuova mappa realizzata dall’organizzazione Tgeu rivela che 12 Paesi dell’Unione europea non hanno aggiornato le loro normative sanitarie in linea con le direttive dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per il riconoscimento delle identità transgender. La mappa mostra un panorama europeo ancora frammentato, in cui solo pochi Stati si sono adeguati agli aggiornamenti introdotti dall’Oms nel 2019, che mirano a depatologizzare le identità transgender e a favorire un accesso più inclusivo alle cure sanitarie.
La riforma dell’Oms per depatologizzare le identità transgender
Nel 2019, l’Oms ha annunciato una riforma storica della Classificazione internazionale delle malattie (ICD-11), eliminando le identità transgender dalla categoria dei disturbi mentali. Questo cambiamento è frutto di decenni di ricerche e pressioni da parte delle associazioni per i diritti civili, che hanno evidenziato come l’inquadramento patologico dell’identità di genere creasse discriminazioni e ostacoli nell’accesso ai servizi sanitari. La nuova classificazione include ora i termini “incongruenza di genere nell’adolescenza e nell’età adulta” e “incongruenza di genere nell’infanzia”, sostituendo diagnosi ritenute obsolete, come “transessualismo” e “disturbo dell’identità di genere nei bambini”. L’obiettivo dichiarato dell’Oms è di garantire alle persone transgender un’assistenza sanitaria rispettosa e accessibile, indipendente da classificazioni stigmatizzanti.
Secondo l’Oms, la riforma della classificazione rappresenta un passo importante verso una sanità inclusiva e rispettosa, in cui le identità di genere siano considerate parte del naturale spettro della diversità umana. Con la nuova edizione della ICD-11, infatti, la salute legata all’identità di genere è riconosciuta come una dimensione specifica dell’assistenza sanitaria, piuttosto che come un aspetto patologico.
In Europa, 12 Paesi continuano a usare classificazioni obsolete
Sebbene l’Oms abbia aggiornato le proprie linee guida, la loro applicazione non è uniforme in Europa. La nuova mappa pubblicata da Tgeu rivela che 12 Paesi dell’Ue, tra cui Austria, Croazia, Cechia, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Lituania, Polonia, Slovacchia e Svezia, continuano a richiedere la diagnosi formale di “transessualismo” secondo la precedente classificazione dell’Oms. Questa scelta obbliga le persone transgender a ottenere una diagnosi psichiatrica per accedere ai trattamenti sanitari specifici, un requisito che si pone in netto contrasto con l’approccio depatologizzante dell’ICD-11.
In altri cinque Paesi dell’Unione – Belgio, Irlanda, Italia, Portogallo e Paesi Bassi – il sistema sanitario utilizza ancora la diagnosi di “disforia di genere” per determinare il percorso assistenziale delle persone transgender. Anche se leggermente più moderna, questa classificazione non soddisfa completamente le raccomandazioni dell’Oms. Un caso particolare è rappresentato da Finlandia, Romania e Slovenia, che continuano a utilizzare entrambe le classificazioni, un compromesso che riflette le difficoltà di attuazione pratica delle nuove linee guida.
Soltanto Malta, Danimarca e otto regioni della Spagna – secondo i dati disponibili – hanno eliminato completamente la necessità di una diagnosi psichiatrica per l’accesso alle cure specifiche per le persone transgender.
Tgeu: il requisito della diagnosi psichiatrica aumenta lo stigma
Secondo Tgeu, l’organizzazione promotrice della nuova mappa, la necessità di ottenere una diagnosi psichiatrica rappresenta uno dei principali fattori di stigmatizzazione per le persone transgender in Europa. Questo requisito lega l’accesso alle cure a una condizione di patologia, perpetuando l’idea che l’identità di genere non conforme al binarismo sia un’anomalia da curare. “La lenta attuazione della depatologizzazione implica che l’assistenza sanitaria specifica per le persone trans non si basi sul consenso informato e sul processo decisionale individuale, ma sia interamente condizionata da una diagnosi”, ha dichiarato Tgeu nella mappa pubblicata per il 2024.
Il requisito della diagnosi non solo limita l’accesso alle cure, ma può comportare anche lunghe attese per una valutazione psichiatrica, un fattore che ritarda ulteriormente l’accesso alle terapie necessarie, come il supporto endocrinologico o gli interventi chirurgici di affermazione di genere. Per molte persone transgender, queste barriere burocratiche e amministrative rappresentano un ostacolo significativo, con conseguenze serie per la loro salute psicofisica e il loro benessere complessivo.
L’impegno del Consiglio d’Europa e le nuove linee guida previste per il 2025
A confermare la complessità della situazione, un recente rapporto del Consiglio d’Europa evidenzia che le persone transgender devono affrontare numerosi ostacoli per ottenere un’assistenza sanitaria adeguata, economica e di qualità. Secondo il rapporto, almeno il 27% delle persone trans in Europa non riesce ad accedere a cure specifiche, un dato allarmante che mette in luce le profonde disparità tra i Paesi dell’Unione. Questa condizione è aggravata dalla mancanza di professionisti sanitari formati sulle esigenze specifiche delle persone transgender, che spesso subiscono discriminazioni o ricevano trattamenti inadeguati.
Per rispondere a questa situazione, l’Oms prevede di pubblicare nel 2025 nuove linee guida sull’assistenza sanitaria transgender. Le raccomandazioni offriranno agli Stati membri dell’Oms un quadro pratico per garantire cure accessibili, rispettose e di qualità, auspicabilmente contribuendo a ridurre le disparità attualmente esistenti.
Verso un futuro più inclusivo per la sanità europea
Il dibattito sulla depatologizzazione dell’identità transgender in Europa rappresenta una tappa fondamentale nel riconoscimento dei diritti delle persone trans. L’adozione delle linee guida dell’Oms può rappresentare un cambiamento significativo, permettendo una transizione verso un modello sanitario inclusivo, in cui le identità di genere siano accettate e rispettate senza la necessità di giustificazioni psichiatriche.
Tuttavia, affinché queste nuove raccomandazioni siano efficaci, sarà necessario un impegno concreto da parte degli Stati membri per armonizzare le normative sanitarie, formare il personale medico e sensibilizzare la popolazione sull’importanza di un’assistenza sanitaria libera da stigmatizzazioni.