Dal Nord al Sud del mondo, i sistemi digitali di raccolta dei dati sono sempre più diffusi.
Ma, pur con tutti i vantaggi dell’identità digitale, è necessario che i governi diano la priorità ai diritti umani
L’identità digitale è sempre più diffusa, e quasi indispensabile, nelle nostre società.
Infatti, nell’era digitale, praticamente tutti i nostri dati sono raccolti da strumenti sempre più tecnologicamente avanzati. Anche se le pratiche di raccolta dei dati sono tanto estese quanto, spesso, scorrette.
Così, se da una parte il Paese risparmia sui tempi e sui costi, dall’altra, le aziende Big Tech accumulano e distribuiscono i dati personali, alimentando modelli di business non sempre legittimi.
Per esempio in Africa, dove le aziende esportatrici di tecnologie biometriche hanno trovato un nuovo mercato. Molti Paesi hanno visto opportunità di crescita democratica ed economica, ma hanno trovato anche difficoltà nelle zone più povere e meno libere, come Mozambico e Uganda.
E poi ci sono le discriminazioni di genere che hanno creato problemi in Pakistan, o la sorveglianza malevola attuata in Thailandia. Ma anche in India e in Serbia.
Oltre a tutto questo, bisogna tener conto anche delle falle nella sicurezza, come nel caso dell’enorme quantità di identità digitali rubate a Singapore.
Come ha osservato il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, Olivier De Schutter, presto la nostra vita sociale dipenderà dai dati. E ciò potrebbe essere pericoloso.
La dipendenza dai dati per interagire con i servizi pubblici crea gravi rischi, perché di fatto costringe le persone a rinunciare al loro diritto alla privacy e alla protezione dei dati per esercitare altri diritti, come il diritto alla sicurezza sociale o il diritto alla salute.
Ciò è particolarmente preoccupante per le persone appartenenti a gruppi emarginati e per quelle che vivono in povertà, che potrebbero dover interagire con i servizi statali più frequentemente e quindi potrebbero essere soggetti a un monitoraggio o a una sorveglianza dei dati eccessivi
Identità digitale e discriminazioni: la disparità globale si sposta online
Come, a partire dal 2001, affermava il sociologo dei media Manuel Castells, il cosiddetto “Digital Divide” condiziona la partecipazione alla società digitale sulla base di fattori tra cui: età, classe sociale, genere e territorio.
Queste disparità, già presenti nella società globale, non vengono appianate dalla tecnologia. Al contrario, come documenta un reportage di Amnesty International, si rendono più evidenti.
Infatti, questo è ciò che ha osservato Imogen Richmond-Bishop, ricercatrice sui diritti tecnologici, economici, sociali e culturali di Amnesty.
C’è una crescente tendenza a integrare la tecnologia in ogni aspetto della vita quotidiana in un contesto di divario digitale di genere già esistente a livello globale, dove l’accesso alla tecnologia è limitato per alcune persone e guidato da modelli di disuguaglianza che hanno radici storiche
Ogni tipo di tecnologia introdotta a scopo governativo si inserisce in un contesto discriminatorio dovuto alla disparità digitale già esistente
Ne è esempio il caso del Pakistan, dove l’”Autorità nazionale del database e della registrazione” (Nadra) ha rimosso la categoria ‘X’ sulle sue carte d’identità digitale.
In precedenza, tale categoria era permetteva alle persone di identificarsi nel genere non binario. Con il passaggio al documento digitale, dunque, migliaia di persone si sono trovate senza documenti d’identità validi.
Di conseguenza, non hanno potuto esercitare diritti fondamentali come il voto, l’accesso a cure mediche e al lavoro.
Fortunatamente, nel settembre 2023, la categoria “X” è stata ripristinata sulle carte d’identità digitale.
Un altro caso è quello della Thailandia, dove a subire danni legati all’identità digitale sono state soprattutto attiviste donne e membri LGBT+.
In particolare attori statali e non statali hanno attuato sorveglianza e molestie (doxing, campagne diffamatorie, minacce e messaggi abusivi), con l’obiettivo di intimidire, causare sofferenza e autocensura, fino al ritiro dall’attivismo.
Nel 2024, in India, il sistema Samagra Vedika ha escluso migliaia di persone dall’accesso alle misure di protezione sociale, comprese quelle relative alla sicurezza alimentare, al reddito e all’abitazione.
Allo stesso modo, in Serbia, molte persone rom e disabili non sono riuscite a pagare le bollette e a procurarsi cibo. Il sistema di introduzione del registro delle social card le aveva automaticamente escluse dal supporto di assistenza sociale.
L’identità digitale e le false promesse in Africa
Sotto la spinta delle agenzie delle Nazioni Unite, della comunità internazionale e della Banca Mondiale, anche i Paesi del Terzo Mondo hanno deciso di adottare nuove tecnologie biometriche per identità digitale.
Vedendosi proiettati verso una società più democratica e sviluppata, convinti dalle promesse di risultati elettorali affidabili e di una rivoluzione nella distribuzione di servizi vitali, anche i Paesi più poveri del mondo sono stati disposti a spendere miliardi di dollari in sistemi biometrici.
Soprattutto dopo la fiera ID4Africa 2024, tenutasi in Sudafrica, dove una folla di aziende del settore ha promesso enormi vantaggi, tra cui: crescita economica, responsabilizzazione degli individui, riduzione della spesa pubblica, abilitazione della fiducia ed essere uno strumento chiave per risolvere le crisi umanitarie.
Tutto ciò ha reso l’Africa un mercato molto redditizio per aziende e Big Tech, soprattutto perché il continente gode di un vantaggio demografico rispetto a Stati Uniti ed Europa, ormai sempre più vecchi.
Ma l’inserimento di tecnologie digitali in società segnate dalla povertà e dalla corruzione non ha dato i risultati promessi.
In Uganda, per oltre 40 anni, la corruzione ha causato elezioni non democratiche, con la conseguenza che la popolazione non ha mai visto un cambio di governo.
Tramite un accordo da 126 milioni di dollari con Huawei, il Paese ha acquistato sistemi di identificazione per implementare la sicurezza.
In realtà, il risultato è uno stato di sorveglianza radicale, dove le tecnologie vengono utilizzate per le funzioni quotidiane dello Stato ma anche per sorvegliare politici, giornalisti, difensori dei diritti umani e cittadini comuni e per consultare i loro dati sensibili.
Persino Nick Opiyo, uno dei principali avvocati per i diritti umani dell’Africa orientale, quando si è dichiarato in difesa delle vittime della repressione del governo ugandese, è stato vittima di una dura sorveglianza digitale.
Anche in Mozambico, dove ci si aspettava una crescita democratica, la situazione è peggiorata.
Pur essendo fortemente in debito, il governo ha acquistato apparecchiature biometriche per la registrazione degli elettori da miliardi di dollari.
Ma, i legami tra le aziende e il governo, le manipolazioni e le irregolarità nei contratti d’appaltò hanno fatto sì che, invece di migliorare un processo democratico fragile, la tecnologia biometrica si sia rivelata “un modo per le aziende mozambicane di fare soldi“.
Intanto, la Repubblica Democratica del Congo ha pagato miliardi di dollari per tecnologie biometriche “fantasma“, ma finora non sono riusciti a fornire un registro nazionale della popolazione, o a distribuire carte d’identità funzionanti.
E se l’identità digitale viene rubata? Il caso emblematico di Singapore
Mentre si diffondono i sistemi di raccolta dei dati biometrici, nascono nuovi metodi per rubare tali informazioni e utilizzarle per scopi illeciti.
Lo scorso 26 giugno, il fornitore di sicurezza informatica Resecurity ha pubblicato un avviso che mette in guardia i cittadini di Singapore dal pericolo di furto di dati sensibili relegati nel dark web.
Numerosi casi di furto di informazioni sull’identità appartenenti a cittadini e residenti di Singapore sono stati trovati sul Dark Web. I prezzi per tali dati vanno da $8, con costi variabili a seconda della fonte e della qualità (delle immagini).
Il numero totale di venditori clandestini che offrono dati di identità rubati appartenenti a cittadini di Singapore è aumentato del 230% rispetto all’anno precedente entro la fine del secondo trimestre del 2024.
Una delle cause principali è la crescita delle violazioni dei dati che colpiscono i consumatori. I criminali informatici compromettono varie piattaforme online che memorizzano le informazioni dei consumatori, portando a un’ulteriore proliferazione di dati rubati sul Dark Web
A Singapore, ogni cittadino e residente possiede un’identità digitale tramite il programma SingPass (Singapore Personal Access).
Sebbene le autorità abbiano più volte parlato del programma come “affidabile” e “conveniente“, gli hacker del Dark Web sono riusciti a compromettere più di 2.377 account SingPass nel solo mese di giugno 2024. Una cifra al ribasso, considerando che in molti casi le piattaforme online non rivelano questi incidenti, evitando che l’utente ne venga quindi a conoscenza.
Una volta rubati, i dati vengono utilizzati per una serie di attività criminali, tra cui frodi, truffe e la creazione di deepfake. In alcuni casi, le violazioni vengono anche sfruttate da attori statali e non statali.
Di fronte a queste criticità, Richmond-Bishop ha fatto un appello ai governi.
È fondamentale che i governi e gli attori privati adottino un approccio esplicitamente inclusivo dal punto di vista della questione di genere nella regolamentazione delle tecnologie e nella gestione dei danni causati.
Se questi sistemi perpetuano discriminazione e disuguaglianza, allora non devono essere implementati