È stato sintetizzato un nuovo farmaco in grado di proteggere al 50% il cervello dai danni neuronali dopo l’ictus. La ricerca è stata compiuta dall‘Istituto Mario Negri, Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano, in collaborazione con il Neuroscience Institute Cavalieri Ottoleghi (NICO) dell’Università di Torino e pubblicata su Cell Death e Disease.
Lo studio è stato compiuto con su animali da laboratorio e sembra che sia sufficientemente sicuro per far partire i test clinici umani.
Il cervello necessita di nutrimento per poter funzionare correttamente, le sostanze che si occupano di tale sostentamento vengono trasportate attraverso i vasi sanguigni, ma nel caso di un ictus, il trasporto del sangue diretto al tessuto celebrale cessa, originando così una situazione di ischemia, con la conseguente morte dei neuroni. La proteina in grado di determinare la morte celebrale è ora nota, il suo nome è MKK7, i ricercatori sono stati in grado di creare un inibitore specifico per essa denominato GADD45Beta: il suo compito è quello di preservare le cellule interessate fino a sei ore dopo l’avvenuto attacco, riducendo così al 50% i danni. “Attualmente non ci sono trattamenti farmacologici approvati per il trattamento dell’ictus, ad eccezione dell’Attivatore tissutale plasminogeno (rT-PA), che ha caratteristiche che limitano l’efficacia” afferma Tiziana Borsello dell’Istituto Negri “quindi il nuovo composto rappresenta un buon risultato”. ”Con le dovute verifiche, passando per la sperimentazione clinica questa prospettiva potrebbe rappresentare una prospettiva nuova in grado di ridurre significativamente i volumi d’infarto celebrale e di conseguenza anche i deficit” conclude Alessandro Vercelli, direttore del NICO.
L’ictus conta solo in Italia 200.000 casi ogni anno, rappresenta la terza (la seconda, stando ad alcune stime) causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie e la prima causa d’invalidità. Nel nostro Paese il numero di soggetti che hanno avuto un ictus e sono sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti, è pari a circa 913.000.
Se i test medici risulteranno idonei anche sull’uomo, non solo si ridurrà il numero di morti per tale causa, ma diminuirà considerevolmente anche la quantità di persone che, pur essendo sopravvissute, dovranno convivere con handicap il resto della loro esistenza.