I territori occupati palestinesi: la prigione più grande del mondo

L’ultimo libro di Ilan Pappe, “La prigione più grande del mondo: storia dei territori occupati”, analizza meticolosamente le politiche di Israele nei confronti del West bank e della Striscia di Gaza.

Lo storico isrealiano si è, negli anni, affermato come una delle voci più autorevoli tra coloro che criticano e si oppongono fermamente all’estremismo sionista. Nel suo ultimo libro, finalmente tradotto in italiano, fa luce sul meccanismo creato nel tempo dai governi israeliani al fine di assoggettare milioni di palestinesi. Da oltre 50 anni, un intero popolo vive, di fatto, in quella che si può definire la “prigione più grande del mondo” a cielo aperto.

prigione più grande del mondo
Il professore Ilan Pappé

Da bravo storico, Pappè ritorna alla genesi dell’attuale Stato di Israele, nel 1948. Anno in cui, terminato il mandato britannico sulla Palestina storica, entrò in vigore la risoluzione dell’Onu 181 sulla spartizione della Palestina. A partire da questo momento cruciale, accompagna il lettore lungo un viaggio attraverso le strategie politiche di Israele, attuate sin dalla nascita del nuovo Stato sui territori palestinesi. Così facendo, evidenzia alcuni momenti determinanti nel conflitto, preludio alla guerra del 1967, e alla creazione vera e propria di una prigione a cielo aperto. L’autore, inoltre, non perde mai l’occasione di sottolineare come il fine ultimo degli archittetti dello stato sionista sia sempre stato la totale occupazione della Palestina e lo sradicamento dei suoi abitanti.

Occupazione o prigione?

Da subito, lo storico dichiara apertamente la sua posizione per quanto riguarda la condizione odierna dei territori palestinesi. Pappé, fin dalle prime pagine, contesta la definizione stessa di occupazione. Per prima cosa, osserva che il termina crea

Una falsa separazione fra Isreale e le zone occupate. Indirettamente, essa legittima la presenza israeliana ovunque in quella che era la Palestina storica mandataria e produce l’inaccettabile dicotomia tra il “democratico” Israele e i “non democratici” territori occupati.

In secondo luogo, evidenzia come l’occupazione sia solitamente ritenuta un mezzo di natura temporanea, per mettere in sicurezza un territorio dopo un conflitto armato.  La transitorietà non fa parte, tuttavia, della storia dell’occupazione israealiana. L’occupazione totale permanente effettuata nei confronti di Gaza e della Cisgiordania, trova dei precedenti storici solamente in azioni militari volte al genocidio di una popolazione.

L’autore sottolinea come il nascondersi di Isreaele dietro il termine “occupazione”, gli abbia permesso di evitare gravi condanne internazionali, consentendo l’impunita creazione di un vero e proprio mega-carcere.

Il progetto sionista

Pappé  passa in rassegna le diverse misure messe in atto al fine di controllare i territori palestinesi. Comincia col delineare il contesto segnato da una profonda ideologia sionista, che sin dalla fondazione di Israele, aveva reso manifeste le proprie rivendicazioni verso la cosiddetta “terra promessa” . Tali pretese costituirono il preludio della guerra del 1967.

Successivamente l’autore prosegue descrivendo la serie di eventi che portarono all’effettivo scoppio della guerra e all’occupazione da parte di Israele dei territori rimasti sotto il controllo arabo (la Striscia di Gaza e la Cisgiordania).  Pappè non manca di sottolineare come, al seguito di un’abile manipolazione mediatica, Israela abbia cercato di far passare le sue azioni militari come puramente difensive. Tramite una sapiente ricostruzione dei fatti, per mezzo di testimonianze e documenti d’archivio, tuttavia, lo storico dimostra che l’invasione dei territori era un progetto che da tempo covava nelle menti dei leader sionisti. Costoro, già con molto anticipo, avevano, infatti, pronti moltemplici progetti di invasione e occupazione.

Successivamente, Pappè  riporta decisioni attuate a seguito del 1967, descrivendo con precisione le infrastrutture adoperate a sostegno della macchina burocratica volta al controllo dei territori occupati. Non manca poi di evidenziare il posizionamente strategico dei coloni Ebrei lungo le aree attorno alla Cisgiordania e Gaza, i primi avamposti di una seconda, lenta occupazione, che ancora oggi continua.

La grande assenza della comunità internazionale

Leggendo i primi capitoli salta subita all’occhio una grande assente: la comunità internazionale. Oltre a qualche citazione riguardo all’evolversi e al progressivo consolidarsi dei rapporti tra gli Stati Uniti e Israele, il convoilgemento di governi e organizzazioni straniere risulta pressochè nullo fino al 1967.  A seguito della “guerra dei 6 giorni”, l’intervento degli U.S.A. e della Nazioni Unite per promuovere il processo di pace segnò l’inizio di un calvario diplomatico, culminato con la grande farsa degli accordi di Oslo nel 1993. Gli accordi di pace sancirono l’isitituzione di due Stati (mai davvero rispettata dal governo isrealiano), negando  agli esuli palestinesi la garanzia di un rimpatrio completo e incondizionato.  L’esclusione della questione dei rifugiati aveva così trasformato

il processo di Oslo, nel migliore dei casi, in una riorganizzazione militare e in un riassetto del controllo israeliano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In quello peggiore, in un nuovo accordo sul controllo che aveva reso la vita dei palestinesi di gran lunga peggiore di quanto fosse prima.

Solamente durante la seconda Intifada (2000-2005), l’opinione pubblica mondiale cominciò a percepere quali fossero davvero le condizioni di vita dei Palestenesi sotto il regime di occupazione. Per la prima volta, tutto il mondo aveva gli occhi puntati sulla Palestina storica, grazie anche ai media locali che trasmettevano la violenta repressione israeliana. L’indignazione generale, tuttavia, non fu sufficiente a contrastare gli ingenti interessi economici e politici del mondo Occidentale nei confronti dello Stato Israeliano. Ai moniti e alle raccomandazioni, non seguirono mai azioni concrete volte a contrastare i soprusi subiti dalla popolazione palestinese.

La scarsa menzione riservata al ruolo dei governi stranieri nelle pagine di questo libro non rispecchia solamente ciò che effettivamente è avvenuto al tempo. Simboleggia anche la scarsissima assistenza fornita alla causa palestinese sin dalla sua genesi. Pappè vuole rimarcare come i palestinesi siano stati abbandonati nelle loro lotte, di come il mondo abbia volutamente ignorato la loro sofferenza e richieste d’aiuto.

La prigione più grande del mondo

Il susseguirsi di leader militari, campagne offensive e progetti top-seceret discussi nel libro, presentano al lettore un’immagine della Palestina simile ad un piano di gioco, accerchiato dai politici israeliani. La sfida? disfarsi della popolazione palestinese, attraverso l’eliminazione totale, la deportazione forzata o lo sterminio vero e proprio. Attualmente, la strategia adottata in Cisgiordania, afferma Pappè, è quella di rendere la vita così impossibile ai civili palestinesi, da costringerli ad andarsene.

L’autore ci presenta la Striscia di Gaza come “la più spietata versione del carcere di sicurezza mai realizzata”: lo stadio finale dell’occupazion israeliana. Nella Striscia assistiamo alla totale reclusione di una popolazione, consentita dall’immunità generale di cui gode Israeale agli occhi della comunità internazionale. Tale immunità è stata resa possibile grazie anche all’abile designazione di Hamas come un gruppo terroristico. Questa manovra mediatica ha giustificato agli occhi del mondo le ripetute aggressioni di Isreale contro la Striscia, che lentamenante stanno soffocando e annientanto la popolazione civile.

La progressiva riduzione dei territori palestinesi 1946-2010

 

Il libro termina con una forte denuncia visiva. Pappè ci mostra il progressivo contrarsi dei terrritori Palestinesi nel corso degli anni. L’ultima mappa del 2006 evidenzia come solo il 12%  dei territori appartenenti alla Palestina storica sia effettivamente rimasto a disposizione dello Stato palestinese.  Sottolinea, inoltre, le numerose incursioni portate avante dai coloni isrealiani, fornendoci una prova inconfutabile delle ripetute violazioni del diritto internazionale compiute da Israele.

Un libro contro la disinformazione

L’ultimo libro del professore Pappè, finalmente tradotto in italiano, è una lettura obbligata per tutti coloro che vogliano comprendere la storia dei territori occupati e contrastare la narrativa sionista, che da sempre aspira ad impedire l’esistenza di una Palestina indipendente. Fornisce al lettore un quadro completo e dettagliato del panorama politico all’interno dello Stato di Israele. Uno sguardo freddo e duro sulle vere motivazioni nascoste dietro l’occupazione: una sete implacabile di terra e potere, segnata da una profonda ideologia razzista, a spese della vita di milioni di persone.  Questa “burocrazia del male” ha permesso ai suoi “servi” di divenire

I custodi di quella che è la più grande prigione del pianeta, operando costantemente abusi,  disumanizzazioni e distruzioni a danno dei diritti e della vita dei palestinesi. (…) All’interno della mostruosa mega-prigione vive tutt’ora la terza generazione di detenuti, in attesa che il mondo conosca le sue sofferenze e si renda conto che, finchè continuerà ad essere, sarà impossibile impegnarsi in maniera costruttiva contro le oppressioni messe in atto altrove (…)

Eva Moriconi

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