I talebani bruciano strumenti musicali: “la musica è immorale”

I talebani

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In Afghanistan i talebani bruciano in un falò decine di strumenti musicali. Secondo la polizia morale la musica corromperebbe i giovani.

Per noi Occidentali luglio e agosto sono i mesi dei falò estivi. È difficile passare in una zona di mare senza incappare in uno di questi romantici raduni, solitamente svolti attorno al fuoco, sulla sabbia umida della sera. In Afghanistan, però, il falò che ha illuminato i cieli della provincia di Herat era diverso. Intorno al fuoco nessuna chitarra inneggiava all’estate e agli amori giovanili. A circondare le fiamme che divampavano nella giornata di sabato 29 luglio, c’era un gruppo di uomini cui il “Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” aveva dato l’incarico di incenerire degli strumenti musicali sequestrati dai talebani nelle ore precedenti.

La musica è immorale

Secondo il capo del Dipartimento per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, Sheikh Aziz al-Rahman al-Muhajir, la musica sarebbeuna forma di corruzione che inganna i giovani e porta alla distruzione della società. Queste le ragioni che risiederebbero nel gesto simbolico messo in atto sabato nella provincia di Herat.

Da quando nell’agosto del 2021 sono saliti al potere, i talebani hanno promulgato una serie di leggi che hanno limitato fortemente le libertà dei cittadini afgani, soprattutto delle donne, com’è noto. Tra queste normative ci sarebbe anche il divieto di suonare musica in pubblico. Recentemente, il governo ha imposto l’ulteriore divieto di suonare musica ai matrimoni. Gli strumenti bruciati nel rogo – chitarre, harmonium e dei particolari tamburi – erano infatti destinati propri ad essere utilizzati per le cerimonie.



Perché i regimi temono la musica

La storia insegna come da sempre i regimi e le dittature in generale temano la musica e ogni forma d’arte, poiché considerati pericolosi veicoli per il dissenso, in quanto capaci di risvegliare le coscienze dei popoli.

Se si vuol guardare qualche esempio recente si può citare la Bielorussia di Lukashenko, dove un dipartimento governativo ha il compito di ascoltare e leggere i testi. Questi ultimi devono ricevere un’autorizzazione per l’ascolto, altrimenti subiscono tagli e censure. O ancora, il ventennio di dittatura militare in Brasile, durante il quale musicisti come Caetano Veloso, Gilberto Gil, Chico Buarque, furono costretti all’esilio.

I nazisti, invece, procedettero alla messa in sicurezza dei “prodotti dell’arte degenerata (Entartete Kunst)”, partendo dal sequestro di circa dodici mila pitture, sculture e opere grafiche, fino ad arrivare a bandire la musica considerata “impura”, come ad esempio il Jazz.  Si voleva restaurare il Volk ariano , puntando a una perfezione razziale, salvaguardando solo le opere di grandi musicisti tedeschi come Bach, Wagner, Beethoven. Il criterio genetico-razziale sostituì quello estetico, per identificare:

“Quanto nella musica vi è di malato, malsano e altamente pericoloso per la cultura tedesca e che conviene quindi sradicare”

Dichiarava un giornale dell’epoca.

In Italia i fascisti seguirono un esempio simile esaltando la musica italiana e denigrando quella estera, soprattutto il jazz. Una delle disposizioni del regio decreto del 1939, nominato “Riordinamento della Discoteca di Stato e istituzione di una particolare censura dei nuovi testi originali da incidere sui dischi”, recitava:

“Tutti i nuovi testi originali da incidere su dischi debbono essere preventivamente approvati”.

Dall’alba dei tempi la musica rappresenta la forma d’arte più immediata e coinvolgente. Quindi, oltre a rappresentare una potenziale e inammissibile forma di evasione per i regimi più repressivi, tra le note e gli spartiti possono celarsi pericolosi messaggi per poteri “fragili”, come quelli che basano tutto il loro consenso su un rapporto di forza.

Il concerto di Franco Battiato in Iraq

Il rogo degli strumenti musicali non può non rievocare lo straordinario concerto che Franco Battiato tenne a Baghdad nel 1992. Se apparentemente il legame tra questo avvenimento e quanto accaduto in Afghanistan sembra labile, basta guardare e ascoltare una delle registrazioni dell’evento presente sul web per riuscerlo scorgere. La musica di Battiato ha risuonato sulle ceneri della Prima guerra del golfo, sotto l’embargo imposto successivamente all’Iraq che privò i musicisti delle corde degli strumenti musicali e degli spartiti, impendendo loro di suonare per lungo tempo.

Nella cornice del Teatro Nazionale Iraqeno è intimamente sottile la commozione degli uomini dell’orchestra, ma si riesce comunque a udire, cullata dalla voce di Battiato e trasportata dal trionfale ritorno della musica. La gravità di quanto sta accadendo in Afghanistan si può leggere esattamente in questa minuscola, ma percettibile, sensazione che accompagna tutto il concerto. In quelle melodie ritrovate si può scorgere cosa realmente significhi privare un popolo della musica, ma anche la forza che questa ha nell’unire paesi e culture. Ecco perché bruciano gli strumenti musicali, ecco perché li temono.

I talebani e la polizia morale

Come ogni regime che si rispetti il potere pubblico si mantiene grazie alle violente e frequenti intromissioni nella sfera privata dei cittadini, annichilendo ogni forma di libertà. Dal divieto di trasmettere musica alle radio, imposto immediatamente dopo aver ripreso il potere, ora si è giunti a vietarla persino ai matrimoni: un’estrema introduzione fino nella vita privata degli afgani.

L’intromissione del regime è totale. L’intransigenza è spietata.

Quel che i talebani dimenticano, però, è che più un governo autoritario stringe le tenaglie attorno al popolo, più facilmente queste tenderanno a spezzarsi.

“Potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera”. (Neruda)

Raffaele Maria De Bellis

 

 

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