I soldi fanno davvero la felicità? Sembra di sì. Almeno negli USA. È quanto emerge da una ricerca della San Diego University.
Lo studio
L’analisi è stata condotta su oltre 40.000 statunitensi over 30. E sono stati presi in esame i dati relativi agli ultimi 45 anni.
Se negli anni ’70 circa il 40% degli adulti americani sosteneva di essere “molto felice” a prescindere dal livello culturale raggiunto, dal 2010 in poi questa tendenza è cambiata. Sarà il progresso tecnologico? Sarà l’avvento dei social, su cui tutti ostentano e millantano vite spettacolari (che in realtà lo sono solo in apparenza? Oppure forse ci si accontenta di meno? Questo non ci è dato saperlo. Ma ciò che sappiamo è che oggi essere felici è molto più complesso.
La felicità ha un prezzo. Letteralmente. Il limite per una ragionevole e sana felicità è di 75.000 dollari (circa 65000 euro). Cioè quello sopra al quale non cambierebbe nulla.
Oggi c’è addirittura una relazione tra la felicità ed il titolo di studio
Solo il 29% di chi non ha una laurea si dichiara molto felice. Contro il 40% di chi invece ha terminato l’università. Perché ciò? Semplicemente perché chi ha completato il percorso di studi crede e spera di poter accedere a lavori migliori. Dove per migliori ovviamente si intende più redditizi.
E la soddisfazione personale? Il desiderio di sentirsi realizzati? La necessità di stare bene in primis con sé stessi e di amare ciò che si fa? Dove sono finiti?
Chi guadagna di più ha più possibilità di sposarsi
Ebbene sì, anche l’amore è messo in secondo piano davanti ai soldi. Certo, se lo è la felicità, non sorprende affatto. Se negli anni ’70 ci si sposava a prescindere da quanto fosse pieno il portafogli dell’altro, oggi ciò che davvero conta… è il conto. È infatti più probabile che si sposi chi ha un salario maggiore e una migliore educazione.
In questo caso però il discorso può prendere una piega più “romantica”. Chi è sposato, infatti, è mediamente più felice rispetto a chi non lo è.
Disparità salariali
Quello che ha influenzato questo studio è la differenza di stipendi che c’è negli Stati Uniti. Che negli anni è aumentata a dismisura. L’amministratore delegato di un’azienda (CEO) guadagna in media 271 volte di più di un normale lavoratore. Nel 1978, il salario del capo era “solo” trenta volte maggiore.
In poche parole, i ricchi sono più ricchi, e i poveri più poveri. Sembra essere scomparsa invece la classe media, anche perché l’aumento del costo della vita non è andato di pari passo con l’aumento dei salari.
Ovviamente problemi simili si riscontrano anche in altri Paesi. Ma il focus del discorso è: i soldi fanno davvero la felicità? Quindi chi non è ricco non sarà mai felice? Quantomeno non lo sarà mai come chi invece lo è? Possiamo ridurre tutto a quanti soldi abbiamo in banca?
Il denaro è necessario per vivere. E lo è anche per fare molte cose che possono in qualche modo condurre alla felicità (l’esempio più banale sono i viaggi, che per molti contribuiscono al benessere mentale). Ma non ci sono forse altre cose che contano anche di più? Se è vero che – detto nel modo più semplice possibile – senza soldi non si mangia, non lo è forse altrettanto che la salute ed il benessere mentale hanno comunque un peso? Ovviamente questo discorso per le famiglie in cui diventa difficile anche solo arrivare a fine mese lascia il tempo che trova. Ma in tutti gli altri casi – cioè quelli meno estremi – non può non essere fatto.
E poi non esiste una formula della felicità. Ognuno può trovarla dove e come vuole. Magari per qualcuno i soldi fanno davvero la felicità. Ma per qualcun altro no. E va bene così.
Anna Gaia Cavallo