Il 3 agosto 1921, nell’ufficio del Presidente della Camera Enrico De Nicola a Montecitorio, Benito Mussolini firmava un accordo coi socialisti per interrompere le ostilità che stavano trascinando il Paese in una guerra civile.
Il Patto di pacificazione segna l’inizio del tatticismo politico con cui il duce riuscì a tenere insieme le anime contrapposte che costituivano il movimento di cui era a capo e dare il la alla nascita del partito nazionale fascista.
I “BLOCCHI NAZIONALI”
La campagna elettorale per le elezioni del maggio 1921 vede protagonista ancora la “vecchia volpe” della politica nazionale, quel Giovanni Giolitti prossimo alla sua ultima avventura governativa.
Nell’ottica di ottenere una salda maggioranza parlamentare guidata dai liberali e isolare la schiera di deputati socialisti, Giolitti conia l’espressione dei blocchi nazionali, una lista allargata all’inverosimile in cui vengono invitati anche i fascisti.
LO SQUADRISMO FASCISTA
La violenza squadrista non è certo un segreto, nelle province del centro nord bande armate di ex arditi e fascisti dell’ultima ora compiono azioni violente ai danni di leghe socialiste, case del popolo e cooperative. Incendi, violenze e omicidi sono all’ordine del giorno.
Come sentenzierà il leader del Partito Comunista d’Italia Angelo Tasca, quella era una lotta impari e dall’esito già scritto: da un lato Arditi ed ex combattenti, dall’altro contadini e lavoratori. Da un lato dei trapiantati, dall’altro uomini che attorno alle case del popolo avevano realizzato conquiste pagate a duro prezzo. Da una parte l’offensiva dinamica a bordo dei camion, sprezzante delle regole, dall’altra la difesa della legalità, immobilista e legata a quei luoghi di “culto”. Una guerra tra chi non aveva nulla da perdere e chi invece, da perdere, aveva tutto.
LE ELEZIONI DEL ‘21
Le elezioni del 15 maggio, oltre a registrare episodi di violenza in tutta la Penisola con un bollettino di ventinove morti e oltre cento feriti, segnano il primo trionfo elettorale per il Movimento dei fasci di combattimento.
Nonostante l’adesione ai Blocchi nazionali, la coalizione giolittiana raccoglie meno di quanto sperato e si assesta al 47%. Primo partito, malgrado la fuoriuscita del gennaio dello stesso anno dei comunisti, il Partito socialista col 25%. Non ci sono dubbi che il movimento guidato da Mussolini, che fa l’en plein come capolista sia a Bologna che nella “sua” Milano, sia il vero trionfatore delle elezioni e l’ago della bilancia in grado di delineare le sorti della coalizione.
LA POLITICA DEL BIPENSIERO
È questa la stagione in cui Mussolini dà prova di tutto il suo opportunismo politico, tratto che lo distingueva già dalla precedente esperienza socialista naufragata nell’interventismo bellico.
Se Giolitti mirava a contrastare l’onda rossa con la violenza dei fascisti, convinto che sarebbe poi riuscito ad imbrigliarla e sterilizzarla nello schema istituzionale, Mussolini coglie la palla al balzo e sfrutta il piedistallo servitogli come trampolino di lancio.
Uno schema, quello del doppio pensiero, che non abbandonerà mai.
L’ULTIMA LEGISLATURA
La XXVI legislatura passerà alla storia come l’ultima prima dell’era fascista e quindi l’ultima liberale del Regno d’Italia. L’ultimo atto di un’agonia che si perpetuava da prima della grande guerra.
Quando, il 21 giugno, Mussolini pronuncia il suo primo discorso alla Camera, provocatoriamente seduto sui banchi dell’estrema destra, è già chiaro a tutti i presenti che il governo Giolitti ha le ore contate. Il leader dei liberali è oggetto di una lunga accusa in cui il duce lo inchioda alle sue responsabilità in politica estera e nei rapporti coi socialisti.
Con il voltagabbana di Mussolini la crisi istituzionale è inevitabile e il 4 luglio è Ivanoe Bonomi a insediarsi come capo del nuovo governo.
SARZANA E IL GRANDE BLUFF
Il 21 luglio Amerigo Dùmini, tra i fondatori del fascio di Firenze, è alla guida di una colonna di circa cinquecento sbandati giunti un po’ da ovunque, riunitisi sul litorale di Massa Carrara e diretti a Sarzana. Ci sono fascisti della prima ora, ma anche ragazzini di sedici o diciassette anni. Sembra una normale spedizione punitiva come tante dell’ultimo anno e mezzo.
Lo scopo è marciare sul piccolo centro della Lunigiana e ottenere il rilascio di Renato Ricci, il capo dei fascisti della zona, incarcerato.
Il convoglio raggiunge Sarzana attorno alle 5.30 del mattino ma sul piazzale antistante la stazione non ci sono i soliti pochi e mal armati contadini. Ci sono quindici carabinieri schierati su una singola linea. Dopo un tentativo fallito da parte di Dùmini di parlamentare col capo del plotone, da uno dei due schieramenti parte un colpo. Si fa fuoco da entrambe le linee. Uno shock per la masnada in camicia nera, abituata alla passività dei contadini socialisti, che si tramuta in un fuggi fuggi generale. Cinquecento squadristi messi in rotta da una decina di soldati regolari del regio esercito.
Il bluff dello squadrismo è rivelato. La violenza fascista è efficace solo in un rapporto di uno a cento e soltanto se quell’uno è disarmato.
IL PATTO DI PACIFICAZIONE
È su questa certezza che si basa la mossa successiva del duce. Presto la borghesia si sarebbe stancata della matrice violenta che nutriva la sua bestia e gli agrari, una volta riottenuto il controllo sulle campagne, li avrebbero scaricati con altrettanta velocità. Il rischio di un nuovo isolamento politico, se Bonomi fosse riuscito a trovare l’intesa coi socialisti, rappresentava un altro pericolo.
Le direttive del comitato centrale fascista sono chiare: stop alla violenza individuale e squadrista, epurazione dei capi fascisti dell’ultima ora, revisione della fedina penale degli iscritti al movimento e istituzione di una commissione di inchiesta interna al fascismo sugli episodi di maggiore violenza.
Il 3 agosto del 1921 il patto di pacificazione raggiunge le sedi istituzionali e viene siglato assieme al gruppo parlamentare socialista.
“CHI HA TRADITO, TRADIRÀ”
La reazione dalle campagne è dura e intransigente. Il duce viene tacciato di tradimento dai capi delle provincie dove la violenza ha visto la sua massima espressione. Sui muri delle città si leggono manifesti inequivocabili: “Chi ha tradito, tradirà”. Tra i più accaniti ci sono il fondatore del fascio di Cremona Roberto Farinacci, il ras del ferrarese Italo Balbo, il bolognese Dino Grandi, l’ideatore della brigata “la Disperata”, il pratese Tullio Tamburini. Tutti uomini d’azione e il cui orizzonte non va oltre la vita da camerati e bastonatori sulle note di “Giovinezza”.
Il 6 agosto Grandi attacca Mussolini riconoscendo la paternità del fascismo al poeta militante Gabriele D’Annunzio e dichiarando Bologna capitale del fascismo e non la mussoliniana Milano. Balbo, in merito al patto coi socialisti, parla addirittura di “fantasie da femminetta”.
Mussolini, sprezzante, li definisce ras, i capi delle milizie etiopi, e riduce la realtà del fascismo agrario emiliano a “cane da guardia dei borghesi”, minacciando di rassegnare le proprie dimissioni. Ancora tatticismi e boutade destinate a non avere seguito. Il 27 agosto infatti il Comitato centrale del fascismo rigetta le teatrali dimissioni del duce, relegando a minoranza gli oltranzisti delle province.
LA NASCITA DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA
Il culmine della messinscena si raggiunge a Roma dove, dal 7 al 9 novembre, va in scena il Congresso nazionale dei fasci di combattimento. Una folla numerosa si accalca nell’auditorium augusteo divisa tra pro e contro le politiche mussoliniane.
Ma il duce è pronto ancora una volta a spiazzare tutti e, dopo aver sconfessato il Patto di pacificazione e aver implicitamente riconosciuto il suo errore, rilancia la posta in palio e pone la platea di fronte al vero quesito: restare un movimento o decretare la nascita del partito nazionale fascista? Il patto e le sue laceranti conseguenze sono già il passato, la folla acclama il suo condottiero e spalanca le porte alla formazione del partito, ignara di essere stata vittima dell’ennesimo raggiro. Solo la sera prima infatti Mussolini e Grandi, in rappresentanza dei ras, avevano trovato un’intesa: sacrificare il patto di pacificazione in nome della nascita del partito nazionale fascista.
Nemmeno un anno (e due governi) dopo, uno Stato catatonico e inerme si farà spettatore della marcia con cui i fascisti prenderanno il potere inaugurando un ventennio di dittatura.
Alessandro Leproux