I portuali di Genova bloccano l’invio di armi a Israele

I portuali di Genova bloccano l'invio di armi a Israele

Da questa mattina al porto di Genova si respira aria di protesta. Circa 400 persone hanno risposto all’appello del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova per manifestare contro l’invio di armi ad Israele, dando vita ad un presidio davanti al varco portuale di San Benigno e bloccando l’accesso al porto passeggeri. In seguito, un corteo si è diretto verso la sede della Zim Integrated Shipping Services, la compagnia marittima israeliana che si è messa a disposizione per trasportate armi verso lo Stato di Israele.

A partecipare al presidio, indetto nei giorni precedenti in risposta al comunicato dei sindacati palestinesi che lo scorso 16 ottobre hanno chiesto ai movimenti internazionali di boicottare il sistema bellico israeliano, numerose organizzazioni e sindacati tra cui USB e SiCobas Genova.

Raccoglieremo dunque l’appello dei nostri compagni dei sindacati palestinesi, a lottare e a opporci con tutta la nostra forza a questa guerra, boicottandola praticamente con i mezzi che abbiamo a disposizione e quindi chiediamo a tutte e tutti di partecipare al presidio.

Così si legge nel post pubblicato su Facebook dal CALP genovese, che non vuole rendersi complice del genocidio in atto in Palestina da parte di Israele e per farlo ha deciso di bloccare le navi che proprio dal porto ligure sarebbero partite per trasportare armi al governo di Tel Aviv.




Già nel 2021 il CALP di Genova, con l’aiuto e la collaborazione attiva dei portuali di Livorno e Napoli,  avevano provato a boicottare una nave israeliana che conteneva armi utili per la guerra già in corso da decenni e che fece scoppiare un caso diplomatico: il governo israeliano non poteva accettare che un gruppo di lavoratori in Italia si opponesse ai suoi piani di controllo e sterminio. “Allora provarono a spaventarci senza risultati”.

SiCobas Genova scrive sui suoi social che stanno lavorando per costruire una prima giornata di sciopero nazionale, provando ad allargare iniziative di lotta e boicottaggio in altri porti e territori italiani per colpire i profitti di imprese, industrie e compagnie coinvolte nel supporto a Israele.

Un’iniziativa, quella del boicottaggio, che ha preso piede in tutto il mondo. In Belgio, i sindacati si sono rifiutati di partecipare a qualsiasi spedizione di armi verso Israele che avvenga dalla Germania attraverso porti e aeroporti belgi. Lo stesso vale per i lavoratori portuali di Barcellona che si rifiutano di caricare o scaricare navi che trasportano materiale bellico per Israele, unendosi alla richiesta globale di cessate il fuoco. Anche ad Oakland, negli Stati Uniti, manifestanti hanno impedito la partenza di una nave che trasportava armi americane a Israele. Sempre negli USA, alcuni attivisti hanno bloccato le entrate di un impianto della Boeing a St.Louis destinato alla fabbricazione di armi. A Londra, manifestazioni si sono svolte alla sede di Leonardo, gruppo italiano che fornisce elicotteri Apache ad Israele. Anche a Sydney, in Australia, è nata una protesta contro l’attracco di una nave della compagnia Zim.

Il messaggio è chiaro. La continuazione dei rapporti commerciali  con Israele equivale ad una partecipazione diretta nel genocidio in corso, per questo è fondamentale intervenire.

“La lotta per la giustizia e la liberazione palestinese non è solo una lotta determinata a livello regionale e globale. è una leva per la liberazione di tutti i diseredati e gli sfruttati del mondo”, scrive SiCobas Genova.

Una dichiarazione giustificata anche dal fatto che la legge italiana n° 185 del 1990 vieterebbe l’invio di armi verso i paesi in stato di conflitto armato o verso Stati la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della nostra Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Tuttavia, secondo quanto riportato dal sito di fact-checking Pagella Politica: “Tra il 2013 e il 2022 le aziende italiane hanno venduto a Israele armamenti per un valore pari a quasi 120 milioni di euro: in media circa 12 milioni di euro all’anno, con un andamento altalenante nel tempo”.

Aurora Compagnone

 

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