Secondo lo storiografo greco Erodoto, i Persiani e il vino avevano un rapporto davvero stretto. Tanto che l’ebbrezza per il popolo orientale costituiva non solo un piacere, ma un bizzarro strumento critico nello decisioni importanti.
Paese che vai, si sa, usanza che trovi. Quante volte ci è capitato di sorridere, trasecolare o storcere il naso di fronte a qualche curiosa abitudine straniera? Del resto, talvolta succede che, chi per campanilismo o mala fede, si tende a fare di tali usanze una giustificazione per disprezzare chi è diverso. Ecco, forse a questo proposito noi tutti avremmo una lezione da imparare dallo storiografo greco Erodoto. Il modo in cui nelle sue Storie racconta i costumi dei popoli lontani, infatti, non è sempre filologicamente corretto, né ineccepibilmente informato. Eppure, il suo sguardo è curioso e rispettoso dei popoli osservati, come risulta evidente dalla sua descrizione del rapporto tra i Persiani e il vino.
Erodoto: un esercizio di onestà dello sguardo
Quello tra i Persiani e il vino, osserva Erodoto in Storie I, 133, è un connubio pressoché inscindibile. A questo popolo piace bere, quasi di più che ogni altra cosa.
Ora, tra i Greci e i Persiani quando Erodoto scriveva la sua opera (tra il 440 e il 429 a.C.), non correva esattamente buon sangue. Forse proprio perché di sangue, in effetti, ne era corso parecchio con le due Guerre Persiane (492-490 a. C e 480-479 a.C.) vinte dai Greci. Tanto che questi ultimi della loro vittoria sui nemici venuti da Oriente avevano fatto un elemento identitario fortissimo. Non a caso, ritenevano veri uomini soltanto coloro che parlassero un dialetto greco. Gli altri erano “barbàroi“, cioè balbuzienti: persone che anziché pronunciare parole comprensibili emettevano un vano “bar-bar”.
Sembrerebbe lecito, perciò, aspettarsi che in Erodoto dopo le parole “Sono molto portati al bere” segua un resoconto di bestialità e nefandezze varie. Invece, il rapporto tra i Persiani e il vino si integra nel ritratto curioso ma rispettoso del carattere di questo popolo.
I Persiani e il vino: un amore razionale
Nell’inquadrare il rapporto tra i Persiani e il vino, bisogna dimenticarsi dell’abbrutimento cui si assisteva in altri contesti (e cui talvolta si assiste ancora oggi). Su questo Erodoto è molto chiaro:
Proibito è fra loro vomitare e orinare in presenza d’altri. E da questo essi rigorosamente si astengono.
Quello tra i Persiani e il vino, prosegue lo storiografo, non è un rapporto di evasione dalla realtà, anestetico, né semplicemente ludico. Il bere, infatti, ha un elevato valore sociale e politico.
Dei più importanti problemi sono soliti discutere in stato di ebbrezza. Quello che dalla loro discussione sia risultato accetto, viene riproposto il giorno dopo da sobri. Se ne incarica il padrone della casa presso cui ci si trovi a discutere, che deve riportare quanto detto. Se il parere è favorevole anche da sobri, si mette in atto; altrimenti, lasciano cadere la cosa. E viceversa, se hanno discusso un qualche problema a mente fredda, lo riprendono poi in esame quando sono in stato di ebbrezza.
Un modello da imitare?
Ora, la descrizione di Erodoto del rapporto tra i Persiani e il vino va presa con tutti i caveat del caso. Bisogna ammettere, però, che il modello che propone è interessante e, a parere di chi scrive, vincente. Le ragioni sono almeno due. Anzitutto, si tratta di un modo pro-sociale di bere: ci si ritrova e il bere stimola e sostiene la discussione su argomenti d’interesse comune. In secondo luogo, sembra piuttosto sano e dignitoso, per il corpo e per la mente.
Non ho idea se i Persiani, insomma, davvero bevessero così bene, o per queste ragioni, come Erodoto racconta. Ma mi sembra un gran bel modo di godersi insieme il piacere del bere, ogni volta che capita.
Valeria Meazza