Il sindaco di Nembro, ieri sera, spiegava a Radio Popolare che i numeri ufficiali sui deceduti di Covid-19 nel suo comune sono tutti falsi:
Bisognerebbe almeno moltiplicarli per quattro. La maggior parte sono morti nelle loro case o nella residenza per anziani. Poi non li hanno nemmeno tamponati. Quindi non risultano alle statistiche.
È esattamente la stessa cosa che mi diceva l’altro giorno Elena Testi, la brava collega che scriverà da Bergamo sul prossimo numero dell’Espresso:
Quando si parla dei numeri ufficiali qui tutti mi spiegano che non significano niente. C’è molta gente che muore a casa e gli ospedali non impegnano certo le macchine per fare i tamponi a chi è già morto. Quindi nessuno di loro compare nei dati.
Lo stesso sindaco Giorgio Gori, seppure con toni meno diretti, ha detto cose simili: nella mia città i conti non tornano.
Ieri alla conferenza stampa della Protezione civile un collega ha fatto proprio questa domanda ad Agostino Miozzo, il dirigente della protezione Civile che sostituiva Borrelli: avete idea di quanta gente muore in casa? Non ha avuta alcuna risposta. Nessuna. Miozzo ha replicato parlando d’altro, mascherine, furbetti, ciclisti, le solite cose.
Il che forse pone anche questioni di altro tipo, cioè che senso ha fare conferenze stampa se poi non si risponde alle domande, a questa come ad altre poste dai colleghi più svegli (ad esempio, senza ottenere risposta è stato chiesto: perché Nembro e Alzano non sono stati dichiarati zone rosse come Codogno? Ha inciso o no quella mancata decisione sull’attuale mattanza di Bergamo e provincia? Quanti sono i cittadini stranieri e gli immigrati contagiati? Ha funzionato l’autoisolamento della comunità cinese a Prato o è una fake?). Se quelli della Protezione civile incontrano i giornalisti per non rispondere, ci mandino un video su Facebook come tutti gli altri e chiudiamo la finzione.
Ma il punto non è nemmeno questo.
Il punto è quello dei numeri quotidiani, a cui siamo tutti attaccati per capire se possiamo sperare o no.
Ed è ormai evidente che questi numeri sono, se non del tutto falsi, comunque molto, molto, molto approssimativi.
Le cifre sui morti, appunto, nascondono chi se n’è andato in casa.
Quanto ai numeri quotidiani dei contagiati, quelli che ossessivamente guardiamo tutti alle sei del pomeriggio, dipendono da almeno due varianti: la quantità di tamponi effettuati e la tempistica con cui vengono forniti i risultati dai diversi laboratori. Che a volte rallentano, a volte invece si accavallano.
Quindi questo stillicidio quotidiano di cifre non ha alcun valore reale. «Ci sono fluttuazioni dovute al caso», spiega oggi a Repubblica Vittorio Demicheli, epidemiologo della task force lombarda in campo contro il virus.
Ma sul numero dei contagiati c’è anche una terza variabile, forse più sottovalutata.
E cioè che – come testimoniano i medici di famiglia – ci sono tantissime persone che restano a casa, con tosse e sintomi da Coronavirus, ma che non hanno abbastanza febbre o ipossia da essere ricoverati, quindi nemmeno tamponati. I loro medici di famiglia li curano come possono, con Tachipirina o altro. Sono contagiati fantasma, fuori dai numeri delle sei di sera.
Del resto ce lo aveva già rivelato Borrelli, che le cifre dei contagiati erano false, quando l’altro giorno ha ammesso che «è verosimile il rapporto uno a dieci tra contagiati ufficiali e quelli veri».
Insomma, siamo tutti attaccati quotidianamente a numeri che sono, diciamo così, molto approssimativi. O più semplicemente farlocchi , almeno nel day-by-day.
Eppure siamo tutti lì a studiarne le varianti anche minime, oggi più cento, ieri meno trenta, stasera va un po’ meglio, stasera va un po’ peggio.
Che dire, che fare, allora?
L’ideale sarebbe non guardarli ogni pomeriggio, staccarsi da questa tortura quotidiana per almeno una settimana: magari dopo un po’ di giorni le cifre hanno un po’ più senso, come tendenza, come curva.
Lo dice, in linguaggio più tecnico, sempre Demicheli: «I numeri vanno letti per la tendenza e non per i valori puntuali». Guardando più a ritroso, la settimana scorsa, si vede ad esempio che in Lombardia la percentuale dei contagiati aumentava ogni giorno a doppia cifra, adesso no, siamo tra il più 7,9 per cento di ieri e il più 5,4 di mercoledì.
In sintesi nasce come una bella idea, questa conferenza stampa quotidiana: nasce come un esercizio di trasparenza e di confronto tra istituzioni e media-cittadini in un momento di emergenza. Ma è diventata un’altra cosa, un esercizio di reticenze, di mezze bugie e soprattutto di numeri sbilenchi.
Colpa di nessuno, probabilmente: le cose vanno in modo imprevedibile quando accadono catastrofi così inaspettate.
Dovremmo staccarci, da quel rito quotidiano, soprattutto dal suo sciorinamento di cifre ballerine.
Ma è difficile, e non ce la faccio neppure io, s’intende: ogni sera, alle sei, come a prendere una droga che sai che ti fa male ma di cui non riesci a fare a meno.
Alessandro Gilioli