Quando si parla di varianti, una cosa che è più difficile tenere in mente è la nomenclatura scientifica che viene loro assegnata. Per rimediare alla confusione, l’OMS ha annunciato su Twitter un importante cambiamento.
Da oggi, le varianti Covid saranno etichettate con l’alfabeto greco. Come mai questa scelta?
Alfabeto greco per le varianti Covid: le motivazioni
Una prima motivazione dell’OMS è meramente pratica. A livello internazionale, infatti, l’alfabeto greco ha la grande possibilità di superare le barriere linguistiche, un po’ come fanno già, a loro modo, i numeri.
Nella lotta al Covid, infatti, c’è il bisogno d’incrementare il più possibile il contatto fra tutte le comunità scientifiche. Bisogna eliminare ogni ostacolo, anche quello della lingua. La stessa OMS ha infatti incoraggiato gli Stati a passare alla nuova nomenclatura, per poter agevolare il dialogo scientifico attorno alla pandemia.
Per fare alcuni esempi, la variante inglese cambierà nome, da B.1.1.7 ad Alpha. Quella indiana, da B.1.617.2 diventerà Delta.
C’è un altro aspetto che dobbiamo considerare. Il cambiare nomi alle varianti, associandole alle lettere greche, viene incontro ai paesi in cui purtroppo queste vengono rilevate.
Un conto è parlare per sigle, rendendo certamente più facile passare da B.1.1.7 a “variante inglese”. Un altro è avere una comunicazione più semplificata che non assocerebbe i singoli paesi alle varianti, o quanto meno ne ridurrebbe il rischio. Le varianti Covid sarebbero meno associate ai luoghi di rilevamento, diminuendo la possibile discriminazione nei confronti dei paesi in cui sono scoperte.
Ciò, per l’OMS, permetterebbe un dialogo più costruttivo e meno discriminatorio anche nell’opinione pubblica. Questo può ridurre lo stigma legato alle persone che provengono dai luoghi in cui vengono scoperte le varianti.
Un nome non è solo “un nome”
Questo cambiamento da parte dell’OMS è sicuramente interessante perché ci ricorda quanto sia importante la comunicazione e la definizione delle cose anche in un campo come quello scientifico. Il denominare qualcosa, il dare una connotazione – o rimuoverla – trasforma la cosa stessa che viene nominata.
Le prossime varianti, se ce ne saranno, avranno dei nomi per noi totalmente lontani e forse per questo più scientifici. Non ci ispireranno l’associazione al paese in cui queste varianti saranno rilevate. Non ci sarà l’immediata associazione al Regno Unito, al Sudafrica o al Brasile – e alle persone che vi vivono.
Questo passo avanti in favore della scienza non solo permetterà alle comunità scientifiche di lavorare su un terreno comune, agevolando i rapporti fra gli scienziati di paesi diversi. Il grande cambiamento sarà comunicativo.
Non ci verrà in mente uno Stato, delle comunità, delle persone quando si parlerà di varianti: sentiremo soltanto una parola che indica una variante della malattia che ha paralizzato il mondo.
Una piccola rivoluzione comunicativa, un passo avanti per una scienza meno discriminatoria.
Giulia Terralavoro