La crisi di governo era nell’aria da tempo, una bomba ad orologeria la cui “ora x” era stata fissata per ieri pomeriggio alle 17.30. L’ufficialità dell’apertura delle ostilità slitta invece di quasi un’ora, durante la quale ci si illude da più parti che con l’ultima dichiarazione di Conte, di ritorno dal Quirinale, il pericolo fosse rientrato. Illusione vana. Conte ha giocato d’anticipo, cercando di togliere alibi a Renzi aprendo alle trattative, ma il dietrofront auspicato anche da una parte dell’area dem non c’è stato. Anzi, i toni sono stati più aspri del previsto.
L’atto preposto a dare il “la” alla crisi è la dimissione dal governo della componente di Italia Viva. La conferenza stampa indetta dal partito di Renzi, complici i tentativi di pacificazione, ritarda sulla tabella di marcia, ma alla fine conferma quello che era il presunto motivo del suo essere: le ministre Bonetti e Bellanova e il sottosegretario Scalfarotto ufficializzano le loro dimissioni dal governo.
Una crisi di governo confusa e pasticciata
Verrà senza dubbio ricordata come una crisi di governo pasticciata, piena di zone d’ombra e senza una via di uscita chiaramente delineata, in un periodo storico in cui l’incertezza dovrebbe essere domata e non alimentata. Ma è anche una crisi di governo colma di contraddizioni.
Secondo Renzi, il premier sarebbe causa di un vulnus democratico, ma allo stesso tempo egli sostiene che il problema non sono i nomi e che Conte non deve dimettersi per forza. Conte in serata, durante il Consiglio dei ministri, annuncia ufficialmente la crisi di governo ma poi non rimette il suo mandato nelle mani di Mattarella.
Quando Renzi era Presidente del Consiglio si esprimeva contro il potere di veto dei partitelli che minano la stabilità del governo, ed era accusato da più parti della sua evidente tendenza ad accentrare il potere e a personalizzare mediaticamente l’azione di governo. Oggi invece Renzi causa una crisi di governo dall’alto del 2% del suo partito e rivolge al premier accuse simili a quelle che gli venivano imputate, riguardo al suo modus operandi, quando ricopriva la carica di Presidente del Consiglio.
Durante la conferenza stampa il leader di Italia Viva parla di “responsabilità” a fronte di un atto della sua compagine che chiunque faticherebbe a definire “responsabile”, vista la drammaticità del momento.
Le cause della crisi di governo
Ma andiamo con ordine: quali sono, in sintesi, i motivi della crisi? Il leader di Italia Viva, durante la conferenza stampa, elenca tre punti:
- Risulta essere chiaro, sulla base delle dichiarazioni dei giorni precedenti, che il motivo principale è l’insofferenza nei confronti dell’attuale premier. Conte viene accusato di aggirare le liturgie istituzionali al punto da minare le garanzie democratiche del Paese. Oltre alla sostanza vengono imputati anche i modi. Viene contestata una comunicazione fatta di proclami altisonanti e dichiarazioni a reti unificate, atti, secondo Renzi, più a prendere like sui social che a risolvere i problemi. Un’altra imputazione a Conte è quella della gestione poco limpida della sua delega ai Servizi Segreti. Ultimo motivo di astio, in ordine cronologico, è la presunta vicinanza di Conte al presidente statunitense uscente Trump e la sua posizione troppo morbida nei confronti della vicenda dell’assalto al Congresso degli Stati Uniti. Ma allora perché Renzi non pone esplicitamente la rimozione di Conte dal suo incarico come paletto imprescindibile per la pacificazione? Si ha l’impressione che, se gli altri due punti (o forse uno solo) venissero soddisfatti, forse in concomitanza ad un cambio di rotta nel modus operandi del premier, quest’ultimo potrebbe non essere sacrificato. Insomma, si potrebbe leggere tra le righe che Renzi rilancia in grande ma è probabile che possa accontentarsi, scendendo a compromessi se dovesse ottenere qualcosa.
- Il secondo punto riguarda la volontà di Italia Viva di non rimandare ulteriormente il dibattito su questioni dirimenti per il bene del Paese. In sostanza si chiede l’apertura ufficiale dei tavoli per la trattativa su alcuni punti cruciali: sblocco cantieri, occupazione giovanile, riapertura scuole, politiche industriali.
- L’approvazione del MES. Osteggiata dalla componente del M5S, secondo Renzi per una questione ideologica più che di sostanza.
Riassumendo, i gli scenari possibili per il futuro sono quattro.
Governo di unità nazionale
Il primo a porre ufficialmente l’eventuale via d’uscita di un governo di unità nazionale sul tavolo è stato Beppe Grillo. Il fondatore del M5S esprime la sua posizione con un post su Facebook antecedente alla conferenza stampa di Italia Viva, in cui l’unica condizione sine qua non sembra essere quella di Conte come di Presidente del Consiglio. L’idea sarebbe quella di un governo con all’interno tutti i gruppi parlamentari, senza distinzioni tra opposizione e maggioranza, che gestisca la crisi e traghetti il Paese verso le prossime elezioni. L’ipotesi viene rilanciata da Toti nel pomeriggio, appena prima delle dichiarazioni di Renzi. In serata invece, viene respinta da Meloni e Salvini, che chiedono compatti di andare alle urne.
Elezioni anticipate
La strada delle elezioni anticipate appare in salita, per usare un eufemismo. La posizione di Lega e Fratelli d’Italia sembra più un’esternazione propagandistica che una reale ipotesi. Oltre alla crisi sanitaria che mal si concilia con la chiamata alle urne, ci sarebbe anche un enorme macigno politico ad otturare questa strada. Infatti, ad oggi, non c’è una legge elettorale che metta d’accordo tutte le parti, ed è inverosimile che si raggiunga un accordo in tempi brevi.
Una nuova legge elettorale si rende necessaria soprattutto alla luce della recente modifica costituzionale approvata dall’ultimo referendum. La riforma elettorale ha carattere sostanziale poiché ha il compito di ribilanciare la rappresentanza partitica e territoriale in Parlamento. Altro punto a sfavore delle elezioni, un leitmotiv caro al discorso populista, è il fatto che in molti “perderebbero la poltrona”. Inoltre, Renzi ha dichiarato esplicitamente che non è un’opzione percorribile e le altre forze di governo sembrano essere dello stesso avviso.
Conte Ter
Ci sono almeno due possibilità affinché si concretizzi la possibilità di un terzo esecutivo Conte. La prima è che Renzi ottenga qualcosa dal suo braccio di ferro e accetti che il premier resti al suo posto con lo stesso perimetro di maggioranza. La seconda è che in Parlamento vengano arruolati dei “responsabili” disposti a garantire i voti al governo che sostituiscano nei numeri i renziani. Dalle indiscrezioni provenienti dal Quirinale sembra che, nel caso si voglia provare a seguire quest’ultima pista, i parlamentari dovranno essere uniti compattamente entro uno stesso simbolo ed avere una certa identità politica, per evitare scossoni improvvisi.
La strada di un Conte ter ha acquisito quotazioni nella serata di ieri grazie all’endorsment di M5S, PD e LeU nei confronti dell’attuale premier. Fiducia esternata anche attraverso i molteplici tweet degli esponenti politici di questi partiti contenenti l’hashtag #AvantiConConte. Resta da vedere con quali numeri Conte andrà avanti. Per ora il premier non si dimette, forte della garanzia data da Italia Viva per quanto concerne la votazione di scostamento di bilancio e conseguente nuovo decreto ristori.
Nuovo governo senza Conte
L’ultima ipotesi è quella più incerta e che pone più punti interrogativi. Quale sarebbe il perimetro della maggioranza? In questo caso, ottenuto ciò che voleva, Renzi potrebbe fare un passo indietro dando la sua benedizione ad un nuovo esecutivo con la stessa maggioranza ma senza Conte. Per la scelta del nuovo premier si potrebbe andare in due direzioni opposte. La prima è quella di politicizzare di più il governo, magari con l’ingresso di un altro big del PD come premier o vicepremier. Oppure, in alternativa, scegliere il Presidente tra le fila dei vertici del M5S, magari Di Maio. La seconda direzione, al contrario, è quella di scegliere un “tecnico”, Lamorgese o Draghi sono alcuni dei papabili secondo il recente totonomi. L’ultimo, in verità, piacerebbe di più nell’ipotesi di un governo di unità nazionale.
In fin dei conti, l’impressione è che da questa crisi di governo nessuna delle attuali forze di maggioranza trarrà beneficio in termini di consenso. Ma soprattutto, è altamente probabile che, qualunque dovesse essere l’epilogo, è il Paese che ne uscirà con le ossa rotte.
Marco Giufrè