I morti innocenti, i sopravvissuti per caso. Il bilancio è questo, è questo il risultato, sempre lo stesso. Ciò che accomuna ogni strage, ogni attacco terroristico in qualsiasi paese, è il risultato. Sembra difficile poter rimanere esseri umani dopo cose simili. Quando le torri gemelle si sgretolarono avevo solo 10 anni e guardavo quelle scene con una voglia di vomitare che non avevo mai conosciuto. Avrei voluto vomitare anche il 13 novembre, il 14, oggi e probabilmente lo vorrò anche domani. E l’ho voluto per tante volte da quell’11 settembre, forse da quel momento ho preso coscienza di ciò che un essere umano può fare quando smette di essere umano.
Le motivazioni non hanno importanza in situazioni del genere, almeno così credo io. Un assassino è un assassino indipendentemente dal colore della pelle, dei capelli, degli occhi, dal Dio in cui crede o dice di credere, dalle motivazioni che lo spingono a uccidere. Incitare all’odio è inutile. Se dovessimo seguire l’esempio del quotidiano Libero, molti di noi, in base alle nostre parentele, alla città in cui siamo nati, al popolo di cui facciamo parte, siamo dei bastardi. Credete davvero che il male, l’odio, possano essere differenziati da altri tipi di odio o di male? Che abbiano delle caratteristiche ben precise?
129 morti che potrebbero aumentare, più di 300 feriti e probabilmente della stessa età dei kamikaze. Un venerdì per andare al ristorante, per fare una passeggiata, per guardare un’amichevole, 1500 persone volevano vedere un concerto di musica metal alla Bataclan, ragazzi e ragazze, forse alcuni hanno anche faticato ad avere il sì da parte dei genitori e si sono ritrovati a scoppiare, a morire, a scappare uscendo dalle finestre, ad allontanare i corpi di altri ragazze e ragazzi feriti.
L’altra mattina mia madre mi ha chiesto: «Ci pensi a quei ragazzi che per qualche motivo poi non sono andati?». Che sono rimasti a casa, magari anche incavolati neri, e poi hanno scoperto che potevano essere loro. Che sono sopravvissuti per caso o per fortuna, e che per caso o per fortuna non fanno parte di quei morti innocenti. Non sono loro quelli che scappano, che urlano, che escono dalle finestre e che muoiono. Ma potevano esserlo. Sì, ci penso, a loro e ai sopravvissuti che al concerto sono andati, ai parenti, ai loro amori, forse si sentono anche in colpa, perché anche le vittime sono vittime, e le dinamiche non cambiano mica.
L’Isis è una organizzazione terroristica che non ha religione, benché ne professi una. Non ha religione come non l’avevano gli Hutu, prevalentemente di fede cattolica in Rwanda, che uccisero 800.000 Tutsi nel 1994. Come non c’è religione nel massacro ancora in corso della minoranza musulmana in Africa Centrale, denunciato da Amnesty International, da parte dei cristiani e animisti anti-Balaka. La fede è solo nominata, è usata come motivazione, come giustificazione ma non lo è.
In queste ultime ore gira su facebook un articolo del 2001 scritto da Oriana Fallaci dopo l’attacco alle Torri Gemelle, articolo che poi diede vita a: La rabbia e L’Orgoglio edito da Rizzoli. Pochi però leggono un altro articolo, quello di risposta, scritto da Tiziano Terzani, si intitola: Il Sultano e San Francesco – Non possiamo rinunciare alla speranza. Concludo con un passo dell’articolo (potete leggerlo per intero qui): “Ma oggi? Non fermarla (la storia) può voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’ orrore dell’ olocausto atomico pose una bella domanda: «La sindrome da fine del mondo, l’ alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’ uomo più umano?». A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere «No». Ma non possiamo rinunciare alla speranza. «Mi dica, che cosa spinge l’ uomo alla guerra?», chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. «È possibile dirigere l’ evoluzione psichica dell’ uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell’ odio e della distruzione?» Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’ era da sperare: l’ influsso di due fattori – un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’ umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: «Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto».”
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