La crisi al confine tra Polonia e Bielorussia è fatale per sempre più migranti. A fine maggio, un corpo è stato trovato nel fiume Swisłoch, nella foresta di Białowieża, antica foresta vergine. Si tratta della quarantacinquesima vittima, da novembre 2021, delle tensioni fra Varsavia e Minsk. In questo confine dimenticato dall’Europa trovano la morte decine di profughi indifesi dopo aver sopportato freddo, torture, deportazioni. Da un lato e dall’altro del confine, viene loro negata una seconda chance alla vita.
Quarantacinque vittime della strumentalizzazione politica dei migranti
Il 24 maggio la polizia polacca ha riportato il ritrovamento di un cadavere nel fiume Swisłoch, vicino al villaggio di Łosiniany. Si tratta della quarantacinquesima vittima al confine fra Polonia e Bielorussia da quando è qui iniziata una crisi umanitaria nell’estate del 2021. Come sottolinea Grupa Granica, collettivo che presta soccorso ai migranti nell’area, è la quarantacinquesima morte che poteva essere evitata.
Da quando Aljaksandr Lukašėnka, presidente della Bielorussia, ha autorizzato il transito dal paese per i migranti, i confini con Lituania, Lettonia e Polonia sono diventati il teatro quotidiano di una terribile tragedia umanitaria. Lukašėnka utilizza dunque i flussi migratori come arma politica contro l’UE, per rispondere alle sanzioni poste da questa contro il suo autoritarismo.
Nel frattempo, migliaia di migranti africani e mediorientali si ritrovano ammassati ai confini e chiedono asilo. La richiesta d’asilo è protetta dal diritto internazionale. Per aggirare questo inconveniente, i paesi sopracitati hanno optato per lo stato di emergenza in modo da sospendere le garanzie previste dal diritto europeo.
La “cortina di acciaio” fra Varsavia e Minsk
La Polonia, paese celebre per la sua ostilità nei confronti dei migranti, è diventata presto l’epicentro delle tensioni alla frontiera con la Bielorussia. Per impedire “l’invasione” pilotata da Minsk, il paese si è trasformato in una vera fortezza. È stata dunque costruita al confine una barriera d’acciaio lunga 186 chilometri, alta quasi sei metri e munita di telecamere e rilevatori di movimento. In questo modo non solo i migranti non possono entrare sul suolo polacco ma non possono essere raggiunti dagli aiuti umanitari.
I migranti bussano alle porte dell’Europa sperando nella salvezza ma vengono respinti, costretti a sostare in una regione dove le atrocità sono all’ordine del giorno. Fuggono da guerre e conflitti per essere intrappolati in un conflitto nuovo, silenzioso ma non meno letale, quello fra Minsk e Varsavia.
Il confine tra Polonia e Bielorussia: un limbo letale
Respinti alla frontiera polacca, i profughi non possono tornare indietro. Infatti, in Bielorussia la polizia è pronta a picchiarli e farli mordere dai cani pur di spingerli nuovamente verso la Polonia. Se ci provassero, tuttavia, troverebbero la polizia polacca con le pistole puntate verso di loro, minacciandoli a fare dietro-front. Il confine fra i due paesi è dunque un vero e proprio limbo da cui non sembra esserci via d’uscita.
Di conseguenza, sempre più famiglie provenienti da Siria, Afghanistan, Yemen, Congo e Somalia, rifiutati dall’Europa, sostano a tempo indeterminato in questa “zona della morte”. Il trattamento che le autorità locali riservano loro è impietoso: vengono picchiati, lasciati senza cibo o acqua, utilizzano contro loro spray urticanti. Violenze che continuano da due anni e sono ormai “normalizzate”: le grida di dolore di individui in cerca di protezione cadono nel silenzio, l’Europa non le sente.
I pochi che non vengono respinti al confine polacco vengono rinchiusi a lungo in centri di detenzione, senza avere accesso a servizi medici o igienici. Molti di coloro che vengono respinti provano invece a continuare la rotta verso la Germania. Tuttavia, in tanti restano bloccati nella foresta di Białowieża dove sono stati rinvenuti i corpi delle recenti vittime rifiutate da Polonia e Bielorussia.
La foresta di Białowieża: da riserva naturale a cimitero a cielo aperto
La foresta di Białowieża è ciò che oggi resta dell’immenso bosco che si estendeva su tutto il continente europeo migliaia di anni fa. Con un’estensione che supera i 3mila km², è diventato un luogo di passaggio per i migranti che sperano di entrare in Europa passando per la Polonia. Trovandosi al confine fra i due paesi in contesa, la foresta è stata tagliata in due dal muro polacco, con grave danno, fra l’altro, per la biodiversità.
I profughi restano qui bloccati in quanto il bosco è tanto denso e fitto che non solo è molto facile perdersi ma non possono essere raggiunti da aiuti umanitari. Senza riparo, cibo o acqua, al freddo con temperature che in inverno scendono facilmente sotto lo zero, i migranti sono abbandonati nella foresta con poche chance di sopravvivenza. Sono diversi i cadaveri già ritrovati nel bosco, ma Janina Ochojska, eurodeputata polacca, sostiene che possano essere molti di più, tanto da sospettare l’esistenza di fosse comuni. Ochojska accusa i politici polacchi di essere responsabili di queste morti oltre che della tortura e della deportazione di chi ha diritto di asilo. Un diritto di cui vengono costantemente privati migranti non-europei ma che la Polonia è più che felice di offrire ai rifugiati ucraini.
Il diverso valore della vita: ucraini e migranti
Da quando è scoppiata la guerra fra Russia e Ucraina, la Polonia è diventata uno dei principali punti di accoglienza per gli ucraini. Questi ricevono protezione umanitaria nel giro di pochi giorni oltre che un alloggio, tutela legale e sanitaria ecc. Un’accoglienza ben diversa dalla non-accoglienza riservata ai migranti al confine la cui vita sembra non valere nulla agli occhi degli europei. Lo ha sottolineato Jelena Sesar, ricercatrice di Amnesty International:
“Questo trattamento violento e degradante stride profondamente con l’ospitale accoglienza che la Polonia sta mostrando nei confronti delle persone sfollate dall’Ucraina. Il comportamento delle autorità polacche sa di razzismo e di ipocrisia. La Polonia deve estendere la sua ammirevole compassione a tutte le persone che varcano i suoi confini in cerca di salvezza.”
Bisogna poi tenere a mente che l’accoglienza polacca dei profughi ucraini è resa possibile anche grazie a fondi UE. La stessa Unione Europea che rimane inerme di fronte alla crisi al confine tra Polonia e Bielorussia. Eppure, gli strumenti per contrastare questa tragedia ci sarebbero, li forniscono il diritto internazionale e il quadro giuridico europeo. Tuttavia, l’Europa resta a guardare, qualche volta denuncia, ma concretamente non c’è molto che sente di poter fare. Nel frattempo, in paesi come la Lituania vengono approvate leggi che legalizzano i respingimenti alla frontiera, leggi che legalizzano l’illegalità.
È necessaria una risposta lucida e unitaria da parte dell’Europa nei confronti di queste violazioni dei diritti umani. Altrimenti, saremo costretti a parlare presto della 46esima, poi 47esima, poi 48esima… vittima al confine tra Polonia e Bielorussia.