Il rapporto finale del progetto L.A.W. (Leverage the Access to Welfare) ha evidenziato come in Italia esista una sistematica e spesso istituzionalizzata discriminazione delle persone migranti. I dati parlano chiaro: dall’accesso al reddito di cittadinanza alla possibilità di ottenere un alloggio o un conto corrente, il trattamento riservato ai migranti non è lo stesso.
Discriminazione istituzionale
Come sottolineato dal rapporto del progetto L.A.W., parlare di discriminazione istituzionale sembra una contraddizione in termini. Come può un istituzione pubblica andare contro la legalità che dovrebbe tutelare?
Le ragioni sono molteplici. Prima di tutto la causa va ricercata in quella che è una pericolosa tendenza degli ultimi anni ad attribuire sempre un maggior potere all’esecutivo piuttosto che al parlamento, tramite istituti quali Decreti-legge o dpcm. Questi strumenti, nati per essere utilizzati solo come misure straordinarie, sono diventati la normalità nel nostro paese, rappresentando spesso l’escamotage per applicare provvedimenti al limite dell’incostituzionalità. La crescente importanza attribuita all’esecutivo diviene ancora più pericolosa a fronte di un appiattimento del governo sul principio di maggioranza, il che porta alla sistematica violazione dei diritti delle minoranze. La preminenza dell’esecutivo e dunque una pericolosa deriva della nostra democrazia sarebbe fortemente rafforzata nel caso di uno slittamento verso il presidenzialismo.
In secondo luogo, spesso l’applicazione di misure apertamente discriminatorie è favorita dai vuoti e le confusioni normative determinate dal “modello di governance multilivello” affermatosi a partire dagli anni ’90. Tale modello vede, accanto ad un livello di regolazione nazionale, uno sovranazionale (l’Unione Europea) e uno subnazionale (enti regionali e locali). La coesistenza di questi diversi piani spesso crea ambiguità normativa.
Infine, bisogna considerare che anche gli addetti ai lavori, ovvero i burocrati interni alle istituzioni, non sono privi di pregiudizi. Di conseguenza, la burocrazia stessa non è neutra, ma caratterizzata da forti influenze ideologiche. Riconoscere la presenza di un’ideologia nel modo in cui i procedimenti burocratici, apparentemente giustificati da ragioni “tecniche”, vengono concepiti è di fondamentale importanza per poter cominciare a cambiare il sistema dall’interno.
Reddito di cittadinanza
La prima discriminazione istituzionale analizzata nel rapporto del progetto L.A.W. è il reddito di cittadinanza. I dati rivelano che, nel 2021, il reddito di cittadinanza veniva elargito all’89% delle famiglie povere italiane e solo al 31% delle famiglie povere straniere. Questo è dovuto in particolare a due condizioni apposte all’elargizione di questo sussidio.
La prima è la condizione in base alla quale la persona beneficiaria deve essere in possesso di un “permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo”. Questo permesso riguarda gli individui che abbiano già conseguito un reddito minimo, ottenuto un alloggio idoneo, maturato i 5 anni di residenza e superato il test di lingua italiana. Insomma, riguarda le persone straniere già integrate in Italia. Dunque, questa prima clausola, sebbene giudicata costituzionale, sembra comunque tradire lo spirito di inclusione di chi è ai margini della società con cui è stato concepito il reddito di cittadinanza. A questo si aggiungano gli interminabili tempi amministrativi, per cui il rinnovo di un permesso di soggiorno può richiedere anche due anni.
La seconda condizione è quella in base alla quale la persona migrante deve aver risieduto in Italia per almeno dieci anni al momento della domanda. Tale condizione è considerata illegale dalla Commissione Europea, tanto che è attualmente oggetto di una procedura di infrazione.
Verso il “reddito di sussistenza”
Se le condizioni per ottenere il reddito di cittadinanza rappresentavano già pesanti barriere all’entrata per le persone migranti, la situazione non potrà che peggiorare quando il reddito di cittadinanza sarà sostituito dal cosiddetto “reddito di sussistenza”. Questa sostituzione, in base a quanto stabilito dalla legge di bilancio 2023 (L. 197/2022) emanata dal governo Meloni, dovrebbe avvenire a partire dal 2024.
Al contrario del reddito di cittadinanza, il reddito di sussistenza non verrà elargito a tutti coloro che sono in cerca di lavoro, ma esclusivamente a chi, ad esempio a causa di una condizione fisica, è giudicato “in-occupabile”. Inoltre, il reddito di sussistenza sarà erogato a livello comunale e non più dall’ INPS, altra misura che a nostro parere può risultare dannosa per gli stranieri. Infatti, come vedremo anche nel caso dell’edilizia pubblica, spesso è proprio quando enti regionali e locali assumono più autonomia che si apre per questi la possibilità di aggirare norme costituzionali con faziosi regolamenti subnazionali.
Edilizia pubblica: i pericoli dell’autonomia differenziata
Un altro campo in cui il rapporto svolto da ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e dal Centro Studi Medì di Genova denuncia la presenza di discriminazione istituzionale per gli stranieri è quello dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica. Infatti, per concedere un alloggio popolare, numerose regioni continuano a richiedere una residenza pluriennale nel territorio o documenti aggiuntivi per gli stranieri.
Riguardo al primo punto, la Corte costituzionale ha dichiarato che, non avendo niente a che fare col bisogno, la residenza pluriennale sul territorio non è un prerequisito necessario all’accesso all’edilizia residenziale pubblica. Si tratta quindi di una richiesta incostituzionale. Nonostante ciò, numerose regioni come Veneto, Liguria e Friuli continuano ad applicare questo cavillo discriminatorio.
In merito alla richiesta di documenti aggiuntivi, la Corte costituzionale si è pronunciata dichiarando anche questa come una richiesta illegittima. Tuttavia, alcune regioni (in particolare il Friuli) hanno addirittura apportato modifiche fittizie al Regolamento regionale per poter eludere le pronunce dei giudici. Questo episodio è il classico esempio delle aberrazioni determinate dalla forma di governance multilivello. Tali situazioni potrebbero divenire ancora più parossistiche nell’evenienza di un’estensione della cosiddetta autonomia differenziata.
Apertura di un conto corrente
Persino aprire un conto corrente, prerequisito indispensabile per iniziare qualunque tipo di lavoro (se non quello in nero), è più difficile per le persone straniere. ASGI, tra febbraio 2022 e gennaio 2023, ha ricevuto ben 101 segnalazioni che riportavano come istituti bancari e postali rifiutassero l’apertura di conti correnti a clientela straniera, specialmente a persone richiedenti asilo e con cittadinanza nigeriana.
Tali istituti bancari e postali richiedevano documenti non necessari per svolgere questa procedura, per cui sono necessari esclusivamente il codice fiscale e un documento identificativo (è sufficiente il permesso di soggiorno o la ricevuta di rinnovo con fotografia).
Costantemente sotto processo
Il più immediato punto in comune tra tutte queste forme di discriminazione istituzionale è sicuramente il grado di smarrimento che devono provare le persone immigrate. Come moderni Josef K., queste persone si ritrovano intrappolate nella rete indistricabile e incoerente di burocrazia postfordista creata dalla governance multilivello, costantemente sotto processo per qualche fantomatico documento mancante.
Per fortuna spesso a districare l’intricata matassa di fonti di diritto contrastanti e a far rispettare i loro diritti ci pensano sindacati, associazioni e in generale realtà autorganizzate che denunciano queste situazioni e offrono aiuto legale gratuitamente agli immigrati. Sebbene sia incoraggiante che esistano realtà come queste, dovrebbe dare da parecchio da pensare il fatto che la situazione ormai è tale per cui bisogna difendersi dalle stesse istituzioni che dovrebbero tutelare democrazia e legalità.