All’Ex-MOI di Torino i migranti si curano gratuitamente: il progetto inclusivo di MSF

“In Libia mi hanno rinchiusa in un centro di detenzione. Uomini e donne insieme, nello stesso stanzone. A volte venivano a prendere una delle ragazze. Pregavamo Dio che la riportassero indietro. Qui dentro ci sono delle persone che si prendono cura di me. Mi accompagnano in ospedale per i controlli. È la mia prima gravidanza. Sarà una bambina. Spero che lei possa vivere in un posto più tranquillo di questo. Con più pace. La mia bambina si chiamerà Testimony”.

P.O. ha 27 anni, arriva dalla Nigeria. All’inizio, all’Ex-MOI di Torino – costruito per le Olimpiadi del 2006 e dal 2013 rifugio di rifugiati e migranti rimasti fuori dall’accoglienza dopo la chiusura del piano “Emergenza Nordafrica”- c’era solo uno sportello informativo sulle modalità di accesso alle cure mediche del servizio pubblico. All’EX-MOI c’è un vero e proprio “esperimento di autogoverno”, come raccontò nel 2016 Al Jazeera in un réportage. Le decisioni importanti vengono prese in assemblee dei residenti. Quando c’è stato il problema che alcuni bevevano troppo e alzavano così la voce da diventare molesti è stato deciso per esempio di vietare la vendita di alcolici dopo le 23.30. Li hanno sgomberati nel novembre 2017, ma loro sono tornati.

L’arrivo dell’ASL e dei mediatori culturali all’Ex-MOI

Ad un certo punto è arrivata l’ASL, che grazie a due mediatori interculturali ha iniziato a fornire supporto per compilare i moduli per accedere al servizio sanitario nazionale e avere diritto al medico di famiglia o al pediatra. I mediatori sono stati scelti e formati tra gli stessi abitanti di quello che da queste parti chiamano “insediamento informale”. Oggi quella di Medici Senza Frontiere all’Ex-MOI è diventata un’esperienza virtuosa, anche grazie alle autorità locali, che ha consentito a persone in condizioni di marginalità di godere, in maniera autonoma, del proprio diritto alla salute.

“Adesso sto meglio. Ma voglio tornare nel mio Paese. Sono troppo stanco di vivere così. Sono venuto in Italia solo a causa della guerra in Libia, altrimenti sarei rimasto, avevo un lavoro lì. In Mali vive Mohamed, mio figlio. Ha 14 anni e sta con i nonni. Puoi darmi tu i soldi per tornare a casa mia?”. C.T. è del Mali, ha 36 anni.




Due anni fa all’EX-MOI 7 su 10 non erano iscritti al SSN

L’ASL più vicina si trova a 600 metri di distanza. Prima dell’intervento di Medici Senza Frontiere, iniziato alla fine del 2016, 7 abitanti su 10, nella quasi totalità titolari di protezione internazionale o umanitaria, non erano iscritti al SSN per mancanza di informazioni, per barriere amministrative o semplicemente linguistiche: vivevano in un sostanziale isolamento rispetto al riconoscimento di un diritto di base, la salute.

“Quando vivevo all’Ex-MOI, nessuno ci dava informazioni su come avere un medico, fare la tessera sanitaria o ottenere la residenza. Le persone si aiutavano tra di loro, ma questo non bastava” racconta Lamin Sidi Mamman, mediatore interculturale di MSF.

Mancavano le informazioni

Il primo ostacolo da superare era dare accesso alle informazioni. Così MSF ha istituito uno sportello di orientamento socio-sanitario, gestito da operatori e volontari, un piccolo e silenzioso esercito di studenti, professionisti e pensionati torinesi, con il supporto di mediatori interculturali, scelti e formati tra gli stessi residenti. A questo desk informativo, al 31 dicembre 2018, sono state assistite 469 persone, di cui 40 donne e 14 minori. In totale gli accompagnamenti sono stati 355, dei quali il 49% verso servizi sanitari, come lo sportello di “Scelta e revoca del medico”, il CUP, le strutture ospedaliere o le visite specialistiche, e il 42% verso altri servizi (anagrafe comunale per l’iscrizione anagrafica, Agenzia delle entrate, centri per l’impiego).

Una settimana solo per iscriversi

I tempi di iscrizione al SSN sono passati dai due mesi all’inizio del 2017 all’attuale settimana. In totale, al 31 dicembre 2018, gli utenti assistiti presso gli sportelli della ASL sono stati 275, mentre sono state 111 le pratiche istruite per l’ottenimento della residenza virtuale, necessaria per la stessa iscrizione al SSN.

“Ho vissuto all’Ex-MOI in una stanza con altre due persone. D’inverno usavamo delle stufette per scaldarci, faceva molto freddo. Ma ci sentivamo tutti della stessa famiglia, nigerini, maliani, senegalesi, nigeriani. Oggi non andiamo più a cercare le persone nelle stanze come all’inizio, perché adesso tutti sanno che facciamo sportello ogni martedì e giovedì e ci aspettano. Ci chiedono informazioni su come avere la tessera sanitaria o il medico di famiglia, ma anche per ottenere la carta di identità, il permesso di soggiorno e persino un lavoro. Lavorare allo sportello della ASL è stato molto difficile all’inizio. Abbiamo lavorato molto per essere accettati”. Gighi Tounkara, 26 anni, Mali, mediatore interculturale MSF.

Inclusi gli esclusi

Oggi sono tutti molto contenti di averli lì con loro. Le persone chiamano Gighi di giorno e di notte, appena hanno un problema si fanno sentire. C’era un ragazzo del Mali, che viveva nel sotterraneo. Stava male, non riusciva nemmeno ad alzarsi. Si rifiutava di essere ricoverato. Non mangiava da solo, non camminava. Oggi sta molto meglio. Grazie alla collaborazione con ASL e Comune di Torino, MSF è riuscita a includere i migranti dell’Ex-MOI nella sanità pubblica e a superare il loro isolamento nei confronti della comunità locale. I risultati del progetto sono contenuti nel rapporto “Inclusi gli Esclusi”.

All’EX-MOI 27 nazionalità

Lamin Sidi Mamman, 31enne del Niger, mediatore interculturale MSF, ha vissuto due anni all’Ex-MOI, all’ultimo piano della palazzina azzurra. Vivere all’Ex-MOI non è facile, perché sei in un posto con tanta gente, devi avere molta pazienza e avere buoni rapporti con tutti, altrimenti non ce la fai, racconta. Ci sono 27 nazionalità, tanti dialetti. Alla fine è l’italiano la lingua ufficiale di chi vive all’Ex-MOI. Un italiano un po’ così, ma pur sempre italiano. La principale difficoltà è trovare un lavoro, con un lavoro nessuno vivrebbe qui. Quando sanno che abiti all’Ex-MOI, vieni etichettato. Le persone qui cercano di sopravvivere, dando il massimo per fare qualcosa pur di non andare in giro a chiedere l’elemosina.

“E poi la comunità aiuta le persone in difficoltà. Essere mediatore interculturale vuol dire essere aperti all’altro, ascoltare i bisogni della persona. Vuol dire dare la possibilità di esercitare il proprio diritto alla salute. Quando ho cominciato a lavorare negli uffici della ASL, all’inizio ho avuto paura di essere visto un po’ male. Tutti, però, sono stati molto carini e aperti con noi. Per noi è una grande soddisfazione rendere le persone che aiutiamo autonome”.

10mila rifugiati in “insediamenti informali”

Oggi sono almeno 10mila i rifugiati e migranti che vivono in “insediamenti informali” in Italia, in condizioni durissime e con accesso limitato ai beni essenziali e alle cure mediche. Il Decreto Sicurezza fortemente voluto dal ministro Salvini, oltre agli sgomberi senza soluzioni alternative, stanno generando un durissimo inasprimento anche delle condizioni di salute dei migranti. Per garantire loro l’accesso alle cure, anche alla luce dell’esperienza maturata a Torino, MSF chiede ora alle autorità competenti di promuovere l’accesso da parte degli abitanti degli insediamenti informali ai servizi socio-sanitari territoriali attraverso la piena applicazione delle normative vigenti, prevedendo anche la presenza strutturata di mediatori interculturali nei servizi con accessi più elevati di migranti e rifugiati, in particolare per i servizi di medicina generale dedicati, come i cosiddetti ambulatori STP-Stranieri Temporaneamente Presenti, e quelli ad accesso diretto senza impegnativa, come i consultori familiari, i CSM, i SERT e i pronto soccorso.

Ha funzionato la collaborazione con le autorità

Le attività condotte  all’interno dell’Ex-MOI di Torino, in un contesto di positiva collaborazione con le autorità locali e di coinvolgimento diretto delle comunità, hanno dimostrato la possibilità concreta di inclusione di popolazioni in condizioni di estrema marginalità sociale all’interno dei servizi  del servizio sanitario nazionale, con soluzioni sostenibili anche in termini di risorse.

“Questo approccio – dicono i responsabili di MSF – va proseguito e consolidato a Torino e il modello di intervento sviluppato potrebbe essere efficacemente replicato in contesti analoghi dove si registra la presenza di insediamenti informali di grosse dimensioni, in aree urbane, ma anche rurali”.

Miriam Carraretto

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