«Posso annunciare che il mio ufficio ha presentato due richieste di mandato d’arresto davanti alla Camera preliminare II della Corte penale internazionale per la situazione in Afghanistan.»
Si apre così il comunicato di Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale (ICC), il quale ha emesso un mandato di arresto per il leader dei talebani in Afghanistan Hibatullah Akhundzada e per Abdul Hakim Haqqani, capo della Corte Suprema afghana. La richiesta del procuratore dovrà però adesso essere approvata da un collegio di giudici dell’ICC.
Nel caso in cui il mandato di arresto venga effettivamente emesso i paesi firmatari dello Statuto di Roma, ovvero il trattato che ha istituito la Corte penale internazionale nel 1998, avrebbero l’obbligo di arrestare i due accusati se questi dovessero trovarsi nel territorio del paese.
Come nel caso dei recenti mandati di arresto verso Benjamin Netanyahu e i leader di Hamas il grande limite nell’azione della Corte è quello di doversi affidare ai singoli stati per poter mettere in atto le proprie decisioni giuridiche.
L’accusa del procuratore nei confronti del leader dei talebani in Afghanistan è quella di aver compiuto crimini contro l’umanità e in particolare persecuzioni verso le donne afgane. Nel comunicato si legge che donne e ragazze, ma anche membri della comunità LGBTQI+, sono vittime di pesanti e ripetute persecuzioni.
Tra i decreti più restrittivi introdotti nel paese a partire dal 2021, quando i talebani hanno ripreso il potere a Kabul, ci sono il divieto di studio dopo i 12 anni, il divieto di percorrere lunghi tragitti senza essere accompagnate e forti limitazioni nei settori in cui poter lavorare. In luoghi pubblici per una donna afgana è obbligatorio indossare il burqa per coprire l’intero corpo ed inoltre non possono partecipare ad attività sportive o visitare parchi pubblici.
Una delle le misure più particolari, e allo stesso tempo inquietanti, riguarda il divieto di costruire finestre da cui sarebbe possibile osservare delle donne nei propri ambienti. Nella motivazione del decreto si legge:
«Vedere le donne che lavorano in cucina, nei cortili o nei pozzi mentre raccolgono l’acqua, potrebbe indurre ad atti impuri»
L’attuale leader dei talebani in Afghanistan è alla guida del gruppo dal 2016 quando ha preso il posto di Akhtar Mohammad Mansour che venne ucciso in Pakistan da un drone statunitense. La Corte Suprema afghana, al cui vertice c’è Abdul Hakim Haqqani, l’altro leader accusato dall’ICC, è uno degli organi statali più importanti nel paese e ha importanti poteri giudiziari.
Sulla drammatica situazione in Afghanistan si è espressa anche Amnesty International all’interno del suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il testo, riferito al periodo 2023-24, sottolinea l’obbiettivo dell’attuale governo afgano di «cancellare completamente le donne dalla sfera pubblica». Inoltre chi ha provato ad esprimere in modo pacifico opinioni critiche è stato vittima di sparizioni forzate, detenzioni illegali, arresti arbitrari, tortura e altri maltrattamenti.
Il compito di informare e criticare il clima di violenta repressione messo in atto a Kabul è ricaduto in gran parte sulle stesse donne, spesso giornaliste costrette a pubblicare i propri articoli in maniera autonoma e spesso su riviste specializzate con sede all’estero. Un esempio tra i tanti è quello di Rukhshana Media, una agenzia di stampa femminista fondata nel 2020 da Zahra Joya, una giornalista afgana rifugiatasi a Londra.
Secondo lo stesso rapporto nel 2023 sono stati almeno 64 i giornalisti detenuti dai talebani e nello stesso periodo oltre l’80% delle giornaliste ha dovuto smettere di lavorare per le crescenti restrizioni. Come specificato anche nel comunicato del procuratore le indagini sui leader dei talebani in Afghanistan non sono terminate e si concentrano invece adesso sulle violazioni commesse dai singoli membri sia tra i talebani e sia all’interno dello Stato Islamico che ha ripreso forze e potere nella parte più orientale del paese e in particolare nella provincia del Khorasan.
Andrea Mercurio