L’ASGI chiede alla Corte dei Conti un’indagine sull’uso dei fondi pubblici italiani nei centri di detenzione in Libia.
Ieri, 27 gennaio, era il giorno della memoria. Il giorno in cui si chiede al mondo di fermarsi, e di ricordare. E se chiedessimo a noi stessi di ricordare ed intervenire? Perché i lager del XXI secolo esistono.
“Mai più”, ci diciamo. Un giorno all’anno, piangiamo la morte di 6 milioni di ebrei in uno degli atti di più pura malvagità della storia umana. La Banalità del male, direbbe Hannah Arendt.
E poi… ignoriamo i milioni di rifugiati che vivono di stenti, imprigionati nei campi al confine con la Turchia, la Libia, la Grecia… Da anni, ormai. Questi sono i nostri lager. I lager del XXI secolo.
Ieri abbiamo ricordato il passato, ma ricordare non è più sufficiente. L’Olocausto non è iniziato con le camere a gas e i campi di concentramento. È iniziato dalle idee, da persone qualunque che hanno deciso di voltarsi dall’altra parte, chiudere gli occhi e fingere di non sentire. Nel silenzio generale. Nella legalità.
È ora di agire.
I lager del XXI secolo: come vengono spesi i fondi pubblici inviati in Libia dall’AICS?
A tal proposito, l’ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione) ha presentato un esposto alla Procura presso la Corte dei Conti di Roma, segnalando numerose criticità relative agli interventi realizzati da alcune ONG italiane in Libia – con fondi dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) – affinché venga avviata un’indagine sul tema.
L’esposto si fonda sul report “Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.”, nel quale ASGI analizza una serie di documenti ottenuti dal Ministero degli Esteri e AICS. Inoltre, porta all’attenzione della Corte dei Conti anche i dubbi in merito alla destinazione effettiva dei beni e dei servizi erogati, in luce del divieto del Ministero per il personale italiano di recarsi in Libia.
Come sappiamo, l’AICS sostiene diversi progetti che operano nelle strutture detentive in Libia. Ma gli interventi sembrano volti a beneficio delle strutture detentive, con attività che ne preservano la solidità e l’efficienza. Non vi è alcun interesse per lo scopo per cui questi soldi sono stati stanziati: migliorare le condizioni di vita dei detenuti all’interno dei centri di detenzione libici.
Sebbene i centri libici siano universalmente riconosciuti come luoghi di tortura e mortificazione della dignità umana, il governo italiano non ha condizionato l’attuazione degli interventi ad alcun impegno da parte delle autorità di Tripoli di migliorare in modo duraturo la condizione degli stranieri detenuti.
È necessario approfondire la questione per assicurare il corretto utilizzo del denaro pubblico, accertando le possibili responsabilità dell’Agenzia, sia dal punto di vista del possibile danno erariale sia del possibile danno all’immagine del governo italiano.
I lager del XXI secolo: è impossibile verificare l’effettiva destinazione dei fondi…
Le perplessità sul corretto impiego del denaro pubblico stanziato per i progetti in esame sono avvalorate dalla scarsa trasparenza nelle rendicontazioni delle ONG ad AICS. Si tratta di voci di spesa generiche, approssimative e spesso di importi identici ed arrotondati.
È impossibile verificare l’effettiva destinazione dei fondi dei progetti agli effettivi beneficiari.
La catena di controllo sull’erogazione di beni e servizi previsti dai progetti è incredibilmente lunga ed indiretta. Sul versante libico, il governo di Tripoli esercita un controllo meramente formale su molti dei centri, di fatto gestiti da milizie armate; sul versante italiano, il MAECI esercita un controllo doppiamente indiretto sull’effettiva destinazione di beni e servizi. Questi sono erogati formalmente dalle ONG appaltatrici ma di fatto sono forniti da “implementing partner” libici.
Inoltre, sull’operato di questi ultimi nessuna ONG (con l’eccezione di Helpcode) ha previsto alcun meccanismo effettivo di controllo.
Mi spiego meglio: le spese rendicontate da ciascuna ONG ed approvate dall’AICS corrispondono nei fatti a spese sostenute da soggetti libici fuori dal controllo effettivo del governo italiano, all’interno di centri libici gestiti da milizie armate fuori dal controllo effettivo del governo libico.
Allo stato attuale, la mancanza di trasparenza nella gestione delle risorse, la difficoltà di accedere ai centri di detenzione, la totale imprevedibilità delle autorità che gestiscono i centri non consentono di escludere che le risorse siano usate per fini diversi da quelli di assistenza umanitaria.
È ora di aprire gli occhi. Che il “Mai più” non sia più una vana promessa, celebrata una volta l’anno. Ma un vero piano di azione. Perché i lager non sono “cosa vecchia”, i lager del XXI secolo esistono eccome, si sono adeguati ai tempi per restare nell’ombra.
Giulia Chiapperini