Nello scorso articolo ho parlato di Carlo Emilio Gadda in generale. Tra la sua vita e le sue opere. In questo invece, mi soffermerò su due sue opere, quelli che sono i suoi capolavori.
“La cognizione del dolore” e “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”.
“La cognizione del dolore” è un romanzo che si sviluppa in nove “tratti”. Questi rappresentano le tappe per la effettiva comprensione del dolore che, in questo caso, deriva da una relazione nevrotica tra madre-figlio. Infatti secondo l’autore stesso la cognizione è il “procedimento di graduale avvicinamento di una nozione” (citazione da Gadda).
Ma in maniera più concreta, di cosa parla il romanzo. Dove è ambientato per esempio? Esso è ambientato in Madragàl, fittizio paese che sarebbe in Sud America. Però esso presenta incredibili somiglianze con la Brianza.
Chi è il protagonista? Il protagonista è don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino. Hildalgo (una sorta di titolo nobiliare spagnolesco, sicuramente c’è chi lo saprà spiegare meglio di me) decaduto stanco d’un mondo di opportunismo, volgarità ed ipocrisia.
Ma perché prende tanto a cuore queste caratteristiche del genere umano? Perché l’egoismo umano, per l’appunto, porta tante persone ad approfittarsi della generosissima sua madre. Egli a tutti i costi dunque vorrebbe proteggerla, ossessivamente, ma invece finisce per offenderla continuamente.
Ottima la trovata dell’autore di creare un’ambientazione lontana quanto non esistente. Essa gli permette di analizzare la quotidianità in modo grottesco, causando straniamento. Questo mette paradossalmente in mostra la verità quanto più la stessa viene distorta.
Questo è reso principalmente dalla creazione linguistica dell’autore stesso. Si alternano detti dialettali lombardi e meridionali, ci sono anche parole tecniche o gergali, oppure spagnole. Nonché forme di scrittura arcaiche e/o contemporanee, tutto miscelato per bene nello stesso romanzo.
Il romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” ci è presentato come un “giallo”. Incentrato su due reati avvenuti in un palazzo a Roma: uno è il furto dei gioielli appartenenti alla signora Menegazzi, l’altro è l’assassinio di Liliana Balducci (triste donna perché senza figli, però molto ricca e gentile).
Per entrambi i casi è chiamato ad indagare Ciccio Ingravallo, commissario. Il romanzo, però, divaga di continuo e non mira mai ad andare verso la scoperta dei colpevoli. Vengono così sottolineati: le piste senza uscita delle indagini, particolari inutili al caso e moventi non provati.
La trama rimane dunque sconclusionata, i colpevoli non si troveranno mai. Questo libro ritrae una società in cui la condotta delle persone, e quella del collettivo, rimangono vuote di vere e proprie motivazioni. Tutto si regge su convenzioni, stereotipi e azioni (talvolta anche a livello incoscio) puramente egocentriche.
A chiudere questo mosaico di ipocrisia e distorsione del senso etico del dovere, ci pensa il regime fascista della fine degli anni ’20.
Fonte: Tutto letteratura italiana, DeAgostini, quinta edizione di settembre 2011; pagina 318.