Le vistose difficoltà diplomatiche della Casa Bianca nel moderare la reazione militare israeliana a Gaza non hanno intaccato le capacità di previsione e pianificazione di Washington che resta il principale protagonista nel contenimento dei danni regionali. Ma dopo sette mesi di guerra e massacri di civili, i tentennamenti del Presidente Joe Biden rischiano di prolungare l’agonia del popolo palestinese.
Sin dai primi giorni dopo la brutale aggressione compiuta il 7 ottobre dai miliziani del partito
islamista sunnita, Hamas, in territorio israeliano, Washington è stata costretta a dedicare
un’attenzione crescente al rapido divenire degli eventi in una regione del mondo dalla quale la Casa
Bianca tenta di disimpegnarsi oramai da tempo. Durante questo lasso di tempo, le preoccupazioni americane hanno trovato conferma nell’atteggiamento intransigente di Israele e del suo Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, che nel condurre la macchina bellica israeliana sui binari della distruzione di Gaza ha messo a dura prova la pazienza del Presidente americano Joe Biden.
Se, infatti, c’è un leader in grado di porre fine al quotidiano massacro di Gaza instradando i due popoli sul percorso virtuoso della risoluzione del conflitto israelo-palestinese, questo è senza dubbio il Presidente degli Stati Uniti.
Nel giro di sette mesi di conflitto, il Commander in Chief della Casa Bianca ha deciso di condizionare in maniera categorica l’aiuto militare a Israele a causa della sua condotta nella guerra che ha provocato oltre 35mila morti. Poco prima del suo ultimatum pubblico, Biden ha tracciato una linea rossa precisa su Rafah, nel sud dell’exclave palestinese, emettendo un ordine che prevede la sospensione di una spedizione di bombe a Israele per dissuadere lo stato ebraico dal condurre un’invasione in un territorio nel quale hanno trovato rifugio più di un milione di civili palestinesi.
Nella giornata di ieri la Camera Usa ha approvato una proposta di legge presentata dai deputati repubblicani per annullare la decisione del presidente. Il provvedimento, passato con 224 voti a favore e 187 contrari, è destinato a non avere futuro al Senato dove sarà bloccato dai democratici, ma restituisce un’immagine abbastanza nitida della confusione americana sul fronte della propria politica estera in Medio Oriente.
Le preoccupazioni elettorali di Biden
Sebbene politicamente significativa sul piano della risonanza mediatica, la decisione di Biden di sospendere l’invio di bombe pesanti da 900 kg non ha prodotto nessuna conseguenza pratica per la capacità bellica dello stato ebraico a Gaza. Le forze di difesa israeliane (Idf) continuano ad avanzare stringendo la morsa sulla città mentre la popolazione palestinese in fuga dalle bombe corre veloce verso l’ennesimo disastro umanitario.
La svolta del presidente americano è arrivata con un enorme e colpevole ritardo, dopo mesi di sostegno agli obiettivi di guerra di Israele intervallati da timidi tentativi di sensibilizzare (inutilmente) Tel Aviv a prestare maggiore contegno per le vite umane dei palestinesi. La decisione di Biden di virare verso posizioni più moderate è chiaramente dettata dall’incalzare delle elezioni presidenziali. Dopo il cambio di atteggiamento dell’opinione pubblica americana su Israele, il presidente americano ha deciso di esporsi non solo con dichiarazioni piuttosto esplicite sull’andamento del conflitto: “stanno uccidendo i civili di Gaza, usando le nostre bombe”; ma anche con decisioni politiche concrete come la sospensione di nuove armi.
La maggioranza degli americani disapprova le azioni militari a Gaza e il sostegno di Washington al premier Netanyahu. L’ondata di proteste nei campus universitari d’oltreoceano ha trasformato il sornione e smemorato “Sleepy Joe” in “Genocide Joe” mentre in Michigan, uno degli swing states, decine di migliaia di democratici affermano di non essere impegnati nella rielezione di Biden a causa del suo sostegno al massacro dei palestinesi.
E per quanto nessuna amministrazione, men che meno quella degli Stati Uniti d’America, dovrebbe mai prendere le proprie decisioni politiche a seconda dell’aria che tira tra l’opinione pubblica, chiudere tutti e due gli occhi di fronte ad un numero crescente e senza precedenti di americani critici e preoccupati per quanto sta avvenendo a Gaza non è politicamente astuto. Consapevole del fatto che la guerra è un freno alla sua campagna elettorale, all’unità del Partito Democratico, Biden ha dunque scelto l’opzione apparentemente meno dolorosa: mettere momentaneamente in stand by l’assistenza militare incondizionata degli Stati Uniti al principale alleato strategico in Medio Oriente, ma soltanto riguardo all’attuale crisi a Gaza.
Il presidente americano teme, infatti, che Rafah possa diventare il luogo simbolo del fallimento della supervisione dell’assistenza militare degli Stati Uniti a Israele. Se una situazione del genere dovesse effettivamente concretizzarsi, Biden non avrebbe nulla da rivendicare sul fronte della politica estera, vistosamente in affanno anche sul versante della guerra in Ucraina, in vista della tornata elettorale del prossimo 5 novembre.
La Casa Bianca doveva (e poteva) condizionare gli aiuti militari a Israele già dopo il 7 ottobre
La svolta di Biden è arrivata dopo mesi di tensione tra Washington e Tel Aviv sulla condotta della guerra a Gaza, in un momento estremamente complesso in cui i colloqui per un cessate il fuoco al Cairo sono ufficialmente entrati in un vicolo cieco. Sospendere le armi a Israele rappresenta quindi un tentativo di rimediare in extremis ad una condotta tipicamente occidentale: il ricorso al doppio standard nelle questioni di politica estera.
Approvando le operazioni belliche israeliane e rinunciando ad esercitare un’efficace supervisione dell’assistenza militare, in questi mesi la Casa Bianca ha minato sistematicamente il Foreign Assistance Act, l’Arms Export Act e le Leahy Laws, che obbligano i destinatari dell’assistenza militare statunitense a rispettare gli standard dei diritti umani. Qualsiasi paese che violi questi standard è passibile di essere sanzionato e diventa non idoneo per i finanziamenti statunitensi. Tuttavia, per Israele Biden ha fatto un’eccezione.
La dissonanza tra l’atteggiamento sprezzante di Netanyahu, accecato dal portare a compimento una vendetta trasversale sul popolo palestinese, e il silenzio complice di Washington nell’assecondare i piani del gabinetto di guerra israeliano, non è passata inosservata nelle capitali arabe che acquistano armi americane. E ora la preoccupazione di Washington è che il trattamento speciale riservato allo stato ebraico a Gaza possa creare un precedente pericoloso e disincentivare anche gli altri beneficiari dal rispettare le leggi statunitensi.
Imponendo un controllo degli aiuti militari a Israele sin dalle prime fasi della guerra e sanzionandone gli eccessi di legittima difesa, gli Stati Uniti avrebbero potuto evitare questa situazione, interpretando con maggiore autorevolezza il ruolo di difensori del multilateralismo e dell’ordine fondato sul diritto internazionale.
Nel bloccare alcune forniture militari al grande alleato strategico in Medio Oriente, Washington ha invece confermato il ridimensionamento della propria capacità di persuasione e pressione sugli alleati più problematici e sui partner più riottosi. In questo modo, la torsione opportunistica verso una decisione che resta moralmente giusta ma tardiva, arrivata dopo sette mesi di guerra nel corso dei quali la Casa Bianca ha più o meno giustificato le trasgressioni israeliane contro i civili palestinesi, rischia di minare definitivamente la credibilità americana.
Dopo la burrascosa presidenza di Donald Trump, l’amministrazione Biden era salita al potere con l’obiettivo di ripristinare la leadership degli Stati Uniti sulla scena globale, nel segno dell’applicazione della giustizia internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli. Ponendo Israele al di sopra della legge in una guerra impari nella quale uno degli eserciti più forti al mondo ha riversato il proprio arsenale bellico contro una popolazione di 2 milioni di profughi, prigioniera in una striscia di terra grande quanto la metà di Madrid, Biden non solo ha disatteso questa promessa, ma ha rivelato al mondo la vacuità del sogno di un Occidente globale e moralmente superiore al resto dell’umanità che fatica a sbarazzarsi del vecchio schema civiltà nostra/barbarie altrui.
Tommaso Di Caprio