Il Garante per la Protezione dei Dati Personali (GPDP) ha sanzionato Roma Capitale e Ama per un totale di 415mila euro per aver trasmesso ai servizi cimiteriali i dati identificativi, personali e di salute delle donne che avevano affrontato un’interruzione di gravidanza (sia essa spontanea che volontaria), in violazione dei principi di “liceità, correttezza e trasparenza”, “limitazione delle finalità”, “minimizzazione dei dati” e “integrità e riservatezza”, indicandoli su targhette posizionate sulle sepolture dei feti presso il Cimitero Flaminio.
I dati delle donne relativi all’interruzione di gravidanza, infatti, non solo rientrano tra quelli relativi alla salute, di cui quindi è vietata la diffusione, ma il GPDP specifica che “il trattamento di tali dati è stato effettuato in modo inesatto e incongruo per contrassegnare una sepoltura che non riguarda la donna”, oltre al fatto che le sepolture nei cimiteri dei feti non hanno nessuna base giuridica.
L’istruttoria del GPDP
A seguito delle numerose inchieste e della complessa attività istruttoria che ha coinvolto sia Ama S.p.a che Roma Capitale, il GPDP ha dichiarato che la diffusione illecita dei dati delle donne riguarda unicamente i casi in cui la sepoltura non è avvenuta su richiesta delle stesse o dei familiari, ma su richiesta della Asl.
Come evidenziato dalle numerose denunce, le donne interessate non sono state messe a conoscenza del fatto che, anche nel caso in cui si scelga di non effettuare la sepoltura, questa avviene comunque su richiesta della Asl. Si legge nel documento del GPDP:
Paradossalmente, la possibilità di indicare il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero, anziché le generalità della donna, è prevista solo se richiesto espressamente dai familiari, richiesta che però difficilmente può essere presentata in assenza di un’adeguata informazione.
Inoltre, relativamente ai contenuti della documentazione trasmessa dalle Asl, che rientrano nei dati inerenti alla salute, si cita il regime di particolare riservatezza previsto dalla legge 194 del 1978 per i dati delle donne che hanno fatto ricorso all’interruzione di gravidanza.
Dall’istruttoria svolta dal GPDP è emerso inoltre che il titolare del trattamento (in questo caso Roma Capitale), pur rilevando che le norme vigenti non offrono una puntuale disciplina di riferimento, non aveva impartito ad Ama S.p.a. alcuna istruzione specifica relativa a questi casi. In questo conteso, Ama, la società che si occupa della gestione dei servizi cimiteriali, di fronte a questo vuoto normativo, che comunque “nulla prevede per la sepoltura di prodotti abortivi” e in assenza di istruzioni da parte del comune, ha comunque gestito richieste di sepoltura provenienti da Asl.
Ama risponderà direttamente di queste violazioni in quanto non ha mai fatto richiesta al comune di Roma di istruzioni specifiche in merito.
Modifica del regolamento di polizia cimiteriale Roma Capitale
Con l’avvio dell’istruttoria del Garante, Roma Capitale si è attivata per superare le criticità emerse sulla questione, avviando un iter per la modifica del regolamento di polizia cimiteriale in materia di feti, nati morti e prodotti abortivi approvata dall’Assemblea Capitolina il 3 novembre 2022.
Le modifiche prevedono che la sepoltura di prodotti abortivi tra le 20 e le 28 settimane e dei feti con più di 28 settimane sia automatica e disposta nelle stesse aree dove vengono sepolti i bambini nati morti. Al di sotto delle 20 settimane dal concepimento vengono invece inceneriti d’ufficio. La novità sta nel fatto che, con questo provvedimento, la scelta se seppellire o cremare il feto spetta alla donna o ad eventuali aventi diritto.
L’altra importante modifica riguarda invece la tutela dell’anonimato della donna, prevedendo che sul cippo funerario, non più la croce, venga riportato solo un codice associato al numero di protocollo della richiesta.
Con l’approvazione di tali modifiche, il comune ha anche fornito ad Ama S.p.a. dettagliate istruzioni sui trattamenti in esame, individuando molteplici misure organizzative e tecniche. In questo contesto, il Garante ha accertato che Ama S.p.a. “aveva implementato in modo, in parte, non completo e, in parte, non adeguato, le istruzioni e le misure organizzative e tecniche richieste dal titolare del trattamento”, con particolare riferimento all’individuazione dei soggetti autorizzati al trattamento dei dati trasmessi dalle Aziende Sanitarie e alla gestione delle procedure di sepoltura .
Relativamente al ruolo delle Asl, l’istruttoria mette in chiaro che queste ultime non dovranno più riportare le generalità delle donne sulle autorizzazioni al trasporto e alla sepoltura e sui certificati medico legali che vengono trasmessi ai servizi cimiteriali. In questo contesto, Roma Capitale ha previsto, come misura di limitazione del trattamento, che nel nuovo sistema informativo dei registri cimiteriali “il dato personale della donna […] non sarà più visibile agli impiegati, se non con una procedura di accesso autorizzata”, prevedendo, inoltre, che tali informazioni possano essere comunicate solo alla donna interessata.
I cimiteri dei feti
La questione relativa ai cimiteri dei feti è emersa nel 2020, quando sono iniziate a circolare notizie e denunce di donne che avevano scoperto che il loro nome appariva su alcune croci presenti nel cimitero Flaminio.
Tra queste anche Francesca Tolino, portavoce dell’associazione Libera di Abortire e candidata al consiglio comunale di Roma nella lista Roma Futura. Alla notizia sulle sanzioni previste dal Garante, ha scritto sui social
Era l’8 marzo del 2021 quando depositavamo al Tribunale civile di Roma l’azione popolare contro l’azienda ospedaliera San Giovanni, Ama e Asl. […] Oggi questo risultato porta il nome di tutt* e ci ricorda che la strada per vedere davvero riconosciuti i diritti delle donne e delle persone con utero rispetto alla loro libera scelta (anche di abortire) è ancora lunga, ma la direzione è giusta!
Ad occuparsi della questione anche Jennifer Guerra, giornalista, che nel 2020 realizzò una mappatura dei cimiteri dei feti in Italia, trovandone circa una cinquantina. Dalla sua indagine è emerso che questi cimiteri esistono da anni e sono del tutto legali. Molto spesso si tratta di aree presenti nei cimiteri in cui vengono di solito seppelliti neonati e bambini piccoli. “Il problema, quindi, non sta nell’esistenza in sé dei cimiteri dei feti o nella loro sepoltura, tema che appartiene a una sfera personale insindacabile e alla sensibilità di ciascuno”, dice.
Le questioni irrisolte infatti riguardavano la carenza di informazioni sul tema fornite ai genitori, la vaghezza della legge che permetteva a delle associazioni, principalmente di stampo religioso, di poter prelevare i feti dagli ospedali e seppellirli con una cerimonia religiosa funebre grazie a degli accordi che queste stipulavano con ospedali e Asl, e, ovviamente, la violazione della privacy delle donne.
Marta Loi, una delle prime donne a denunciare le violazioni dei cimiteri dei feti, sui suoi social lancia l’appello per una riflessione politica sulla questione “perché riteniamo si tratti di una questione culturale che deve mettere al centro la libertà di scelta delle donne”. Ad oggi il dibattito continua infatti ad essere incentrato sul tema della violazione della privacy e del consenso informato anche se i cimiteri dei feti continueranno ad esistere anche per tutte quelle donne che chiedono il diritto all’oblio. In una lettera a L’Espresso, nel 2021, scriveva:
Ho scelto di abortire, ho scelto di non avere un luogo fisico di memoria, l’ho dichiarato e qualcun altro ha scelto comunque per me, qualcuno ha deciso che la mia volontà in fondo non contasse nulla. Il diritto che noi rivendichiamo non è solo quello di essere informate, ma quello di essere libere di scegliere se seppellire o no, libere di scegliere come elaborare una vicenda personale.
Che cosa è cambiato, quindi, realmente?
Che adesso le donne lo sanno.