Il ruolo che hanno avuto i centri sociali nella storia italiana è stato fondamentale, in particolare negli anni Novanta per permettere la diffusione di idee e movimenti, tra cui le controculture punk e hip hop.
I centri sociali sono un luogo di cui si torna a parlare ancora oggi, anche alla luce del decreto anti rave che tange anche i centri sociali stessi, portando a sgomberi, come quello del Xm24 a Bologna avvenuto nel 2019.
I centri sociali a partire dagli anni Ottanta
In un’epoca che non vedeva ancora l’avvento di Internet, erano gli incontri di persona che permettevano il maggior scambio culturale. Da questi scambi con altri appassionati si diffondono (e si evolvono) i movimenti subculturali e controculturali.
Un caso significativo è quello del movimento hip hop italiano, che è stato importato dagli Stati Uniti e inizialmente era poco conosciuto e di nicchia. L’hip hop in Italia arriva nel 1982 con il primo tour mondiale di Afrika Bambaataa: da quel momento, i primi seguaci di questo movimento si riunivano in spazi autogestiti e raduni chiamati jam-session. Chi passava per una forma di hip hop poi arrivava a conoscerne anche le altre e agli inizi era molto comune praticare tutte e quattro le forme dell’hip hop. Erano proprio gli incontri in questi luoghi, così come nei centri sociali, che avveniva il maggior scambio culturale e musicale circa questo genere.
All’inizio degli anni Novanta, nell’ambito dei centri sociali, si sviluppano anche le posse, ovvero gruppi di artisti che prediligevano temi politici, di controinformazione e denuncia sociale. Le posse erano formate da attivisti nel campo politico-sociale che tramite la musica cercano di esprimere le proprie opinioni e diffonderle. Il genere musicale proveniente da questo fenomeno underground era prevalentemente raggamuffin rap.
Nei centri sociali si impone una certa tipologia di testo e ben presto la matrice politica divenne più importante del contenuto sociale: i testi cambiano e si cominciano ad espandere i contenuti.
L’hip hop italiano non è nato nei centri sociali, ma questi luoghi furono essenziali per lo sviluppo e la diffusione del movimento, tanto da darne una risonanza anche fuori da quell’ambiente.
I centri sociali come luoghi di diffusione dell’hip hop e punk italiano
I centri sociali erano presenti in molte città italiane. Soprattutto confrontando le città più grandi, è possibile osservare delle specificità: ogni centro sociale si distingueva dagli altri per le influenze musicali e nelle produzioni.
Una città fondamentale nello sviluppo della controcultura hip hop è stata Bologna. All’inizio degli anni Novanta si muovono i rapper delle posse, soprattutto nell’Isola nel Kantiere, centro sociale occupato di Bologna attivo dalla fine degli anni Ottanta fino allo sgombero da parte delle forze dell’ordine nel 1991.
A Milano si era diffusa la breakdance, i giovani di estrazione modesta portavano lo stereo sulla spalla ispirandosi al South Bronx, dando vita a raduni ove praticare le quattro discipline dell’hip hop. Il Leoncavallo fu uno storico centro sociale autogestito di Milano fondato nel 1975 nel quartiere Casoretto. Durante gli anni Novanta fu uno dei luoghi maggiormente fervidi per l’hip hop.
El Paso Occupato è il nome del centro sociale di ispirazione anarchica nato nel 1987 a Torino. Questo centro sociale ha assunto grande rilevanza per lo sviluppo della scena hardcore punk a Torino, anche se negli anni ha perso la sua centralità. La scena hip hop torinese risentiva delle influenze della scena hardcore punk underground sviluppatasi in quegli anni, fatta di contrapposizione tra cultura alta e bassa e brani di denuncia sociale.
Nell’epoca pre-digitalizzazione, i centri sociali sono diventati mezzo di comunicazione
In Italia, specialmente nella fase iniziale dalla fine degli anni Ottanta agli inizi degli anni Novanta, l’hip hop e il punk hanno conosciuto luoghi fondamentali per lo sviluppo e la diffusione del movimento, dove arrivano prima le influenze e c’erano maggiori opportunità di incontro e scambi con altri appassionati.
Per quanto riguarda il caso specifico dell’hip hop, in provincia è stato più lento il processo che ha permesso al movimento di arrivare e farsi conoscere. Questo perché non erano presenti media di riferimento ed era complesso venire a contatto con altre realtà, sia italiane che estere, e i primi tentativi di hip hop italiani rimanevano poco accessibili al pubblico ed erano limitati ad alcuni ambienti. Anche all’interno dei centri sociali presenti nelle province le influenze rimanevano circoscritte al territorio.
Per tale motivo la scena italiana, almeno fino ai primi anni Novanta, è sempre stata composta da piccole realtà locali che venivano a conoscenza l’uno dell’altra solo tramite jam o raduni organizzati.
Vi sono stati molti centri sociali che ancora oggi sono ricordati per aver ospitato artisti conosciuti e per aver fatto giungere l’hip hop in provincia, aprendone gli orizzonti e portando molti praticanti del movimento già dalla fine degli anni Ottanta.
Valentina Volpi