Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Gli Stati Uniti si avvicinano a una nuova tornata elettorale e, come spesso accade, i candidati Usa mostrano lacune significative in materia di politica estera. Tra incertezze e scelte discutibili, si registra una preoccupante incapacità di gestire scenari globali sempre più complessi, come sottolineato dagli esperti di geopolitica, in un contesto dove la leadership americana vacilla. Con attori internazionali come Cina e Russia pronti a riempire i vuoti lasciati da Washington, il futuro della politica estera USA sembra destinato a influenzare profondamente l’assetto geopolitico mondiale, aprendo le porte a nuove sfide e potenziali conflitti.
Come spesso accade nelle elezioni Usa, i candidati alla presidenza hanno una conoscenza molto scarsa della politica estera e della geopolitica in generale. Un’eccezione è il presidente uscente Joe Biden, che sin dagli esordi della sua carriera politica si è sempre occupato di politica estera. Il che non ha impedito, tuttavia, il disastro dell’Afghanistan, con il Paese abbandonato in breve tempo nelle mani dei talebani.
Se pensiamo ai candidati oggi in corsa, notiamo subito che Kamala Harris, nonostante gli entusiasmi suscitati nel Partito Democratico dalla sua discesa in campo, di politica estera sa ben poco. Lo dimostra anche la sua disastrosa gestione del problema dei migranti che premono al confine con il Messico, che Biden le aveva affidato. Della sua gestione si rammenta soltanto la frase “Non venite!”, rivolta ai richiedenti asilo. Un po’ poco, insomma, per considerala ferrata nei problemi della politica estera.
Come spesso succede a Washington la Harris, se venisse eletta (ipotesi tutt’altro che improbabile), dovrebbe basarsi sul parere di consiglieri ed esperti, aggravando così i problemi decisionali.
Per quanto riguarda Donald Trump, nel corso della sua presidenza abbiamo visto che il tycoon newyorkese tende, da un lato, a decidere da solo in base a valutazioni puramente personali e, dall’altro, a licenziare consiglieri ed esperti da lui stesso nominati. Un tourbillon continuo che certamente non giova alla continuità e alla stabilità della politica estera Usa.
C’è di che preoccuparsi seriamente. Bene o male gli Stati Uniti sono ancora la maggiore potenza globale, pur avendo perso posizioni e smalto negli ultimi tempi. Cosa accadrà dunque in un mondo attraversato da conflitti tremendi?
Probabile che Cina e Russia approfittino della debolezza americana occupando spazi che prima venivano gestiti dagli Usa. Un processo che, del resto è già in corso dopo il sostanziale fallimento della politica delle sanzioni sulla quale l’amministrazione Biden ha molto insistito, ma senza conseguire risultati significativi.
Probabile, inoltre, uno scollamento nel fronte occidentale, con molti alleati degli Stati Uniti che cercheranno di riposizionarsi nello scacchiere internazionale non fidandosi più della garanzia americana.
Avremo insomma un mondo ancora più instabile di quanto non sia ora, con Paesi come Iran e India sempre più battitori liberi. Una prospettiva inquietante, di cui però i circoli dirigenti di Washington non sembrano avere piena coscienza.