Qualche giorno fa su Repubblica è comparsa un’inchiesta interessante in merito ai banchi a rotelle, forse il simbolo più discusso dell’azione del governo Conte II. A sei mesi dal loro debutto nelle aule scolastiche, è tempo di tracciare un bilancio per scoprire le criticità di quelli che dovevano essere i grimaldelli per le riaperture, sinonimo di distanziamento e garanzia di sicurezza.
Molti dei banchi a rotelle sono diventati, loro malgrado, i protagonisti dei video su TikTok, dove decine di di studenti si fanno beffe dell’ex ministra Azzolina, sfidandosi in competizioni di banco-scontro nei corridoi degli istituti scolastici. Altri diecimila invece restano a prendere polvere in un capannone a Pomezia. Novemila, ancora, sembrava avessero trovato uso e destinazione nelle scuole del Veneto, ma dopo poco sono stati inscatolati e lasciati in un angolo, in attesa che qualcuno li venga a prendere. Altri sono pienamente operativi ma vengono indicati dagli alunni come la causa di mal di schiena e problemi di postura. Non male, per una fornitura da 95 milioni di euro, riguardo alla quale, tra l’altro, stanno fioccando diverse denunce all’indirizzo della Guardia di Finanza.
Uno dei maggiori flop
Secondo quanto dichiarato a Repubblica da fonti interne al ministero dell’Istruzione, sarebbero almeno la metà le sedute a rotelle inutilizzate tra quelle fornite agli istituti. Tra zone rosse e scuole chiuse, ma anche tra istituti aperti e scarsa fruibilità, i banchi a rotelle sembrano essere stati uno dei maggiori flop del Conte II. Un’idea rivendicata con forza invece ancora lo scorso dicembre da Lucia Azzolina, che sosteneva di aver pensato a un investimento che non fosse necessariamente legato al Covid. Da parte del Comitato Tecnico Scientifico, però, non c’è mai stata nessuna indicazione in merito alla necessità di sedute mobili. Gli esperti avevano raccomandato semplicemente il distanziamento di un metro tra gli alunni e l’utilizzo conseguente di postazioni monoposto. Nessun accenno ai banchi a rotelle.
L’incarico ad Arcuri
Il governo aveva fatto dei banchi a rotelle lo strumento di una battaglia, mai veramente combattuta, sul rientro in classe. Aveva incaricato l’allora commissario straordinario Arcuri di trovare qualcuno che fornisse le postazioni. Il numero sarebbe stato poi fornito dal Ministero dell’Istruzione, a seconda dei dati relativi ai 16 mila istituti scolastici italiani.
Il contratto
Luglio 2020 è stato il mese dell’acquisto: il governo ha dato mandato al Commissario per acquistare 2,4 milioni di banchi. Di questi 434.344 avranno le rotelle e dovranno essere consegnati in tempo per il suono della campanella a settembre. C’è un piccolo problema, però: le aziende produttrici, normalmente, si basano su ordini del ministero che ammontano a circa 200 mila pezzi annui. Da luglio a settembre ci sono quindi tre mesi, a dir tanto, per produrre ciò che il settore fabbrica in 12 anni. Le aziende sono selezionate da una commissione esterna: questa affida i lavori a dodici aziende, dall’Italia e dall’estero. I banchi a rotelle, più precisamente, vengono prodotti da Arredalab, Principle ed Estel, con un costo di 219,17 euro, sempre secondo quanto riporta Repubblica. Inizialmente si era previsto un esborso di 307 euro a banco, ma la spesa è comunque esosa: 95 milioni per i soli banchi a rotelle. A questi vanno ad aggiungersi le postazioni tradizionali, il cui costo totale è di circa 300 milioni. Benissimo, si ordinano, si paga e si aspetta.
I banchi a rotelle? Assenti
Arriva metà settembre. Le campanelle di tutta Italia suonano, anche perché il sistema delle regioni a colori non è ancora in vigore. Nelle aule, però, i banchi a rotelle sono pochi. Fanno scalpore le fotografie dei primi giorni di scuola di bambini seduti a terra, in classi spoglie, preventivamente svuotate per far spazio ai nuovi banchi “in arrivo”. Si deve attendere però fine novembre per la distribuzione completa. Prima che molti banchi arrivino nelle classi, però, molti presidi hanno già rispedito al mittente quelli a loro assegnati. Alcuni plessi ne avrebbero richiesti inspiegabilmente in più, sbagliando i calcoli degli spazi e vedendosi costretti a restituirli.
Non mancano i sostenitori
Ci sono però anche i protettori dei banchi a rotelle, docenti e dirigenti entusiasti della novità. Nel padovano, a Vo’, un preside segnala di aver trovato le sedute adatte alle esigenze del suo plesso: ne ha richieste 30 al ministero e ne ha fatte ordinare (e pagare) al Comune altre 70, al prezzo di 150 euro ognuna. Alcuni studenti tra i più alti delle secondarie hanno lamentato però problemi alla schiena, anche in questo caso. Il preside li ha dunque trasferiti per l’uso e consumo degli studenti più piccoli. In altri plessi, i banchi a rotelle sono stati invece assegnati ai laboratori e agli auditorium: luoghi in cui normalmente i ragazzi restano per un paio d’ore, senza il bisogno di utilizzare i banchi per reggere molto materiale. Lo spazio a disposizione, infatti, è un altro problema.
L’illusione dell’innovazione
Al di là dello spreco di denaro pubblico, già di per sé motivo di scandalo, la riflessione sulla gestione del post emergenza è d’obbligo. I banchi a rotelle non sono stati introdotti nel mese di marzo 2020, quando l’urgenza e la necessità di risposte veloci e immediate ci hanno fatto chiudere più di un occhio sulle misure e sulle modalità. I banchi a rotelle vengono dopo. Fanno parte, probabilmente, di quella fiaba che tanto ci piace raccontarci sull’innovazione nelle scuole, sulla tecnologia nelle didattica e sulla digitalizzazione, mentre un terzo delle famiglie italiane non hanno un pc o un tablet in casa. I banchi a rotelle sono lo spettro di una modernità con cui tentiamo, goffamente, di stare al passo, mentre sembriamo una brutta caricatura dei Jetson, quel capolavoro di cartone degli anni Sessanta, in cui si va a scuola in astronave e c’è Rosie, il robot casalingo.
Forse, i banchi a rotelle hanno qualcosa in comune con la confusione informativa, il pressapochismo e la burocrazia che legano l’app Immuni, gli arzigogoli delle autocertificazioni, i bizantinismi sulle seconde case e, manco a dirlo, il prossimo caos dietro l’angolo, che risponde al nome di “pass vaccinale”.
Forse. Speriamo di no.
Elisa Ghidini