Hunger Strike di Alberto Nettuno, edito da Fandango Libri, rappresenta un’opera fondamentale nell’ambito della riflessione sociopolitica contemporanea. Lo scrittore offre un’analisi approfondita dell’hunger strike e del suo impiego come strumento di resistenza politica. Uno degli argomenti principali affrontati nell’opera è la mancanza di definizione condivisa di “hunger strike”. Nell’opera si riflette sul carattere politico e sulla complessità concettuale di questo termine, fornendo un’analisi dettagliata delle esperienze di scioperi della fame in contesti diversi e proponendo, in tal modo, di colmare le discrepanze che ruotano attorno all’hunger strike.
L’hunger strike e la resistenza del corpo
All’interno della sua opera, Alberto Nettuno ci ricorda che l’hunger strike è un atto che va oltre la mera privazione di cibo. Il detenuto è spinto a considerare il proprio corpo come a uno strumento con il quale esercitare un atto di resistenza che, seppur non adotti una forma di violenza diretta, rappresenta comunque una forma di ribellione, non priva di rischi, alle loro condizioni.
All’interno dell’opera, lo scrittore si sofferma sulla differenza tra l’hunger strike e il suicidio. È fondamentale avere chiara la differenza tra i due fenomeni. Al contrario del suicidio, che è un atto che ha come obiettivo quello dell’autodistruzione, l’hunger strike ha come obiettivo quello della disobbedienza verso l’autorità. Coloro che ricorrono all’hunger strike non desiderano eseguire un atto di violenza verso se stessi; al contrario, ricorrono al proprio corpo in quanto unico strumento a disposizione per esprimere il proprio dissenso nei confronti del potere istituzionale.
Isolamento carcerario e sociale
Come spiegato all’interno dell’opera, la questione del potere limitato dei detenuti e della conseguente disobbedienza nei confronti del sistema carcerario proviene dall’assenza di alternative. Ciò assume un ruolo centrale nelle condizioni del detenuto. Tale potere è ulteriormente limitato nel momento in cui il detenuto vive una condizione, non solo di isolamento carcerario, ma anche di isolamento sociale. Il totale isolamento del detenuto lascia spazio a una condizione di impotenza da cui deriva, come conseguenza della realtà carceraria, la privazione della libertà fisica.
Attraverso la volontà di isolare il detenuto dal resto della società, è evidenziata la complessità delle dinamiche di potere e resistenza all’interno dell’istituzione carceraria. La costrizione dell’utilizzo del proprio corpo come strumento di rivalsa e liberazione evidenzia le ingiustizie del sistema penitenziario. Tali ingiustizie mettono il detenuto in pericolo, in quanto l’hunger strike è un atto di ribellione che può portare a gravi conseguenze per la salute e persino alla morte. Inoltre, la reazione del sistema carcerario consiste nella repressione della forma di protesta e, dunque, nella repressione della voce e della realtà quotidiana di alcuni detenuti.
Il legame tra tortura e alimentazione forzata
L’atto dell’hunger strike mette in evidenza un’altra questione che, insieme alla resistenza del corpo e all’isolamento del detenuto, contribuisce a dare un’immagine ancora più chiara della realtà vissuta da alcuni detenuti all’interno del sistema penitenziario: la questione dell’alimentazione forzata.
L’alimentazione forzata nei contesti penitenziari solleva importanti questioni etiche, legali e umanitarie riguardo la libertà individuale, la dignità umana e la possibile violazione dei diritti umani dei detenuti. Si tratta di una pratica utilizzata in alcuni contesti penitenziari per mantenere in vita coloro che rifiutano il cibo. Tuttavia, l’obiettivo centrale dell’alimentazione forzata è quello di ignorare e silenziare la missione dei detenuti che intraprendono l’hunger strike, così da evitare approcci caratterizzati dalla ricerca di soluzioni alternative mirate a rispondere alle richieste dei detenuti costretti a portare avanti lo sciopero della fame. Ciò contribuisce a creare un clima di sfiducia e ostilità tra i detenuti e il personale penitenziario che esercita una coercizione nell’alimentazione.
La pratica dell’alimentazione forzata ha acquisito una rilevanza significativa nel contesto dei prigionieri detenuti a Guantánamo. Un aspetto critico riguarda il ruolo dei professionisti medici coinvolti in questa pratica. Molti medici hanno sollevato preoccupazioni sulla loro responsabilità etica e legale nell’eseguire tali procedure, sottolineando il loro dovere di rispettare il principio dell’autonomia del paziente e di non causare danni evitabili. Tuttavia, nei contesti carcerari come Guantánamo, i medici possono trovarsi in una posizione difficile, costretti a bilanciare le loro responsabilità etiche con gli ordini delle autorità carcerarie.
L’opera di Alberto Nettuno offre uno sguardo diretto nell’esperienza traumatica dei detenuti sottoposti all’alimentazione forzata, riportando le parole di una lettera scritta da Naji al Hasan Moqbel inviata al New York Times:
“Non dimenticherò mai la prima volta che mi hanno infilato il tubo nel naso. Mi legano alla sedia nella mia cella due volte al giorno. Non so mai quando arriveranno, a volte vengono durante la notte… […] Mi hanno legato mani e piedi al letto e inserito a forza una flebo nella mano. Ho passato 26 ore in questo stato, legato al letto. Non sono potuto andare neanche in bagno. Mi hanno messo un catetere, un’azione dolorosa, degradante e non necessaria. Non mi è stato permesso neanche di pregare… Durante una nutrizione forzata l’infermiera ha spinto sbrigativamente il tubo in profondità dentro il mio stomaco. Ho pregato di sospendere, si è rifiutata.”
Leggendo parte del contenuto della lettera è chiaro che la resistenza esercitata attraverso l’hunger strike diventa un atto di sfida contro la violenza del regime carcerario che però rischia di portare a ulteriore violenza da parte di quest’ultimo. Tuttavia, per i detenuti diventa un atto inevitabile, poiché unico strumento a loro disposizione. L’hunger strike è un’azione attraverso la quale si tenta di riappropriarsi della propria umanità e della propria dignità in un ambiente caratterizzato dalla negazione dei diritti fondamentali.
Il caso italiano
All’interno dell’opera Hunger Strike, lo scrittore analizza anche il caso di Alfredo Cospito che decide di intraprendere e portare avanti l’hunger strike come segno di protesta contro il regime del carcere duro (41-bis).
Il caso di Alfredo Cospito solleva domande importanti sulla giustizia penale e sui diritti umani in Italia. Mentre alcuni sostengono che le restrizioni del regime 41-bis siano necessarie per proteggere la società dai criminali più pericolosi, altri vedono queste pratiche come una violazione dei diritti fondamentali dei detenuti. La protesta di Cospito evidenzia la tensione tra la sicurezza pubblica e i diritti individuali, una questione complessa che richiede un delicato equilibrio tra il mantenimento dell’ordine e il rispetto dei principi umanitari.
Attraverso casi come quello di Alfredo Cospito e le testimonianze dirette dei detenuti costretti, dalle circostanze, a intraprendere l’hunger strike e sottoposti all’alimentazione forzata, l’autore ci porta a riflettere sulla necessità di riforme nel sistema penitenziario e sulla delicatezza nel bilanciare la sicurezza pubblica con i diritti individuali. È evidente che, come affermato da Foucalt e riportato all’interno dell’opera, “lì dove c’è potere, c’è resistenza” e spesso questo potere è motivato da ingiustizie politiche e sociali profonde.
Hunger Strike emerge come un’opera essenziale per coloro che desiderano esplorare a fondo il fenomeno degli scioperi della fame e la loro rilevanza come forma di resistenza politica. Attraverso esempi e casi di studio, l’autore dimostra come questa pratica sia stata utilizzata in varie parti del mondo e in diverse epoche per sfidare regimi autoritari, ingiustizie sociali e violazioni dei diritti umani.
L’esposizione dettagliata di Alberto Nettuno, caratterizzata da riferimenti teorici e casi pratici, permette, a seguito della lettura, di avere un quadro completo e approfondito dell’argomento. Nettuno evita di semplificare la complessità della questione, presentando invece una visione sfaccettata e multiforme del tema trattato. La sua scrittura è impegnativa ma accessibile, offrendo al lettore la possibilità di riflettere criticamente sulla materia trattata.
Attraverso la ricerca di testimonianze, l’autore esplora le sfide e i dilemmi che i partecipanti a questi scioperi devono affrontare, così come le reazioni della società e delle istituzioni di fronte a questa forma di protesta. Con la sua combinazione di analisi approfondita e contestualizzazione storica, l’opera offre una prospettiva chiara e completa su un argomento di grande rilevanza e attualità.