Nasce in Danimarca l’idea della Human Library, una vera rivoluzione contemporanea della classica nozione di “biblioteca”. Il progetto fu immaginato nella primavera del 2000 a Copenaghen, da Ronni Abergel, suo fratello Dany e i colleghi Asma Mouna e Christoffer Erichsen. L’idea era quella di creare una piattaforma innovativa ma soprattutto pratica per l’apprendimento.
La traduzione letterale di “Human Library” è “Biblioteca umana”, e il senso dell’organizzazione consiste nel dare la possibilità al visitatore di “consultare” una persona in carne e ossa al posto di un libro. Nella Human Library, invece di prendere in prestito manuali, i “lettori” incontrano altri esseri umani. Proprio come dei “libri aperti”, questi ultimi si prestano all’esperimento raccontando la propria storia e rendendosi disponibili al dialogo con il loro interlocutore.
“Senzatetto”, “sordomuto”, “sieropositiva”, “mussulmana”, “disoccupato”, “rifugiata”, “alcolista”, “bipolare”…
Questi sono solo alcuni dei titoli, volutamente provocatori, con i quali il sito dell’organizzazione presenta i propri “libri” viventi. Il progetto prevede, infatti, che i “libri umani” siano volontari appartenenti a categorie sociali soggette a pregiudizi o discriminazione. Il senso dell’incontro è tanto più prezioso quanto più offre la possibilità di affrontare temi a cui altrimenti i “lettori” avrebbero difficilmente accesso in maniera altrettanto schietta e limpida.
“Sfidi uno stereotipo? Sei un libro aperto? Hai trasformato un disagio in una speranza? Diventa un libro!”.
Il primo evento organizzato dai creatori della Human Library nel 2000 fu aperto per otto ore al giorno per quattro giorni consecutivi. La selezione di “libri” presentava cinquanta titoli e la risposta del pubblico fu sorprendentemente più che positiva. Oltre un migliaio di lettori approfittarono dell’inaspettata novità per sfidare loro stessi e i loro stereotipi, lasciando i libri cartacei per dedicarsi alle altre persone.
Un’idea del genere, geniale nella sua semplicità, porta con sé moltissime implicazioni.
Il primo merito delle Human Library è stato quello di aver sperimentato una possibile soluzione a malattie tipiche delle nostre società moderne. Razzismo, pregiudizio, discriminazione, sono morbi terribili contro i quali l’unica medicina possibile è la cultura. L’aver battezzato il progetto Human Library è già di per sé emblematico della purezza dell’obiettivo prefissato.
Nel mondo antico, la Biblioteca di Alessandria fu un polo per tutta l’umanità, un faro di cultura, sapere e fascino nel cuore del mondo ellenistico. Lo stesso ecumenico principio di coesione e bellezza è insito nel progetto della Human Library. Questa persegue, infatti, il miglioramento sociale attraverso la comprensione delle diversità e il superamento, mediante il dialogo, di barriere ideali quali possono essere le divisioni religiose, culturali, etniche o razziali.
Se oggi la biblioteca non è più un’istituzione florida come in passato, è pur vero che i principi alla base della sua nascita vivono ancora in progetti come questo, capaci di ricordare l’importanza e il valore di un arricchimento culturale funzionale al miglioramento di se stessi e del mondo in cui si abita.
Rivoluzionario è stato poi anche l’aver creato uno “spazio sicuro” nel quale fosse possibile un confronto autentico. Questo avviene tra soggetti che magari non avrebbero mai avuto altro modo di incontrarsi, se non in un contesto creato ad hoc per l’obiettivo.
Spesso molte battaglie sociali finiscono per essere sostenute solo dai diretti “protagonisti” delle tematiche. Si finisce per ignorare che, nel momento in cui una collettività vive un’ingiustizia, il problema è della comunità tutta. Conoscere realtà dissimili dalla propria è il primo passo per la comprensione del “diverso” e la ricerca di soluzioni di benessere collettivo. L’affrontare dei taboo all’interno delle finestre di dialogo create dalle Human Library permette davvero di scardinare pregiudizi e sfidare convinzioni alle quali, a volte, solo la pigrizia o una visuale ristretta delle cose portano a credere.
L’uomo moderno è emblematicamente quello a testa china.
Che sia perché persi tra le pagine di un libro o, più frequentemente, tra quelle web aperte sugli Smartphone, è diventato un atteggiamento considerato come “naturale”. Contrariamente alla linea tracciata dall’evoluzione, abbiamo pensato che la strada per il progresso fosse quella che, dalla posizione eretta, ci riportava a ripiegarci su noi stessi.
Che nelle biblioteche 2.0 al gesto del prendere in mano un libro si sommi quello del metterlo da parte per guardare negli occhi un’altra persona sembra quasi rivoluzionario. Eppure, non è che il punto di partenza della nostra intera storia. Ritornare all’oralità come forma di conoscenza è qualcosa alla quale non si sarebbe mai pensato in secoli in cui la battaglia per lo sdoganamento dell’oggetto libro era ancora accesa. Solo in un tempo in cui l’accesso alla più grande biblioteca del mondo è concretamente alla portata di tutti grazie a internet e le nuove tecnologie, ecco che ritorna cruciale ricordare il valore dell’esperienza comunicabile.
Nel suo “Saggio sul narratore”, Benjamin rifletteva su come la mitica figura del narratore fosse entrata in crisi a seguito dei conflitti mondiali.
I militari tornati in patria ammutoliti, incapaci di narrare gli orrori vissuti, erano diventati non più ricchi, ma più poveri di “esperienza comunicabile”. È questa ciò che fa di un uomo un narratore. Ed è la capacità di trasmettere un sapere che permette alle società di avanzare facendo le scelte migliori.
Le Human Library, sorte ad oggi in più di 80 paesi in tutto il mondo, rappresentano il più solido ponte verso il futuro che abbiamo proprio perché consentono di ripartire dalla base. Ricordando quanto sia cruciale costruire senza dimenticare le radici imprescindibili della nostra società, le “biblioteche viventi” sono un monito che riaccende un faro sulle priorità del nostro presente. È tanto importante recuperare la capacità di ascoltare quanto quella, ancor di più rara, di raccontare e raccontarsi, facendo della propria esperienza un sapere comunicabile e prezioso.
Martina Dalessandro