Anche se, come italiani, siamo abituati a pensare che il problema dell’accoglienza dei migranti riguardi solo il nostro paese, la verità è che la situazione degli hotspot greci è molto più grave di quella dei nostri centri.
Questa nostra convinzione deriva dal fatto che ci sentiamo continuamente dire che il numero di arrivi che si registra sulle coste del nostro meridione è altissimo e ingestibile. Ci indigniamo quindi. Gridiamo all’Europa la sua irresponsabilità e chiediamo la redistribuzione delle persone richiedenti asilo e la revisione del trattato di Dublino.
Si potrebbe qui accennare al fatto che, se ai proclami e alle minacce fatte da casa, si aggiungesse il lavoro diplomatico nel parlamento europeo, forse si sarebbero raggiunti migliori risultati. Ma non è di questo che ora si intende trattare.
Il punto è che, per quanto facciamo bene a chiedere che la gestione e l’accoglienza dei migranti in arrivo sulle coste europee diventino responsabilità condivisa tra tutti gli Stati dell’unione, l’urgenza di questa necessità riguarda un altro paese prima che l’Italia, ovvero la Grecia
I dati relativi al 2019 forniti dall’agenzia UNHCR e confermati dall’Ufficio del Ministero dell’interno, infatti, indicano una diminuzione quasi del 51% rispetto all’anno precedente per quanto riguarda i numeri di arrivo in Italia. Sulle coste nostrane, cioè, sono sbarcate 11.471 persone durante l’anno che si è recentemente concluso. Il dato è significativo se si pensa che in Spagna gli arrivi registrati nel 2019 sono stati di 32.513 persone.
È però la Grecia, come già accennato, il paese con più alto numero di nuovi richiedenti asilo. Lì, nell’anno appena trascorso, sono giunte 74.482 persone. Un numero più alto della somma dei dati relativi a Italia, Spagna, Cipro e Malta.
Oltre che dai numeri, però, il problema greco è determinato da un sistema inefficiente e inadeguato di accoglienza, laddove si contano molti minori non accompagnati
I principali hotspot greci, dove si trova bloccata la maggioranza dei richiedenti asilo sono situati, infatti, sulle isole di Lesbo, Samos, Chios, Leros e Kos. Questa situazione, come dichiarato in un rapporto OXFAM pubblicato nel Settembre del 2019, è frutto dell’accordo stipulato tra l’Unione Europea e la Turchia nel 2016 che prevede, tra le altre cose, che i richiedenti asilo non possano lasciare le isole e, quindi, essere distribuiti in centri di accoglienza nel continente.
È importante sottolineare che per ottenere una risposta alla propria domanda di asilo gli ospiti degli hotspot greci devono, talvolta, attendere anni.
Il principale risultato di questa situazione è che i campi risultano oltremodo sovraffollati
Per fornire una misura di questo sovraffollamento basta citare il dato relativo a Moria, il campo rifugiati più grande di tutta Europa che si trova sull’isola di Lesbo. Qui, in uno spazio organizzato per ospitare 3.500 persone se ne trovano circa sette volte tante. Come anche nel resto della Grecia, gli uomini e le donne che affollano Moria provengono principalmente da Siria e Afghanistan. Queste persone sono, quindi, in maggioranza rifugiati.
Nel Novembre 2019, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha svolto una visita di tre giorni a Lesbo e ad Atene, al termine della quale ha definito la situazione greca “estremamente allarmante”
Nel Settembre dello stesso anno l’OXFAM, nel sopracitato rapporto, aveva classificato l’hotspot di Moria come un luogo pericoloso.
Questa valutazione è stata espressa di fronte all’evidenza di una situazione disperata. Dato l’alto numero di persone concentrate in un unico luogo, intorno al campo ufficiale ne sono nati di spontanei che risultano, però, privi di sorveglianza. Questo, ovviamente, pone un problema di sicurezza, soprattutto per le fasce più deboli. Molte donne negli anni hanno denunciato di aver subito violenze sessuali, tante rinunciano a lavarsi o ad utilizzare le latrine per paura.
Il numero delle strutture sanitarie non è nemmeno lontanamente adeguato a coprire i bisogni delle persone presenti nei campi. I problemi di salute di natura fisica non vengono trattati in tempo, quelli di natura psicologica non sono nemmeno considerati. Non si cercherà, qui, di spiegare cosa significhi questo per persone che hanno subito traumi gravissimi derivanti dalle privazioni del viaggio e dalle eventuali torture a cui sono state sottoposte.
Nel Luglio del 2019 è cambiata la situazione politica nazionale greca
Uno dei primi provvedimenti che il nuovo governo greco, guidato dal primo ministro conservatore Mitsotakis, ha promosso è stato la cancellazione di una legge che prevedeva l’assegnazione di un numero di social security ai richiedenti asilo. Questa legge garantiva loro accesso illimitato al sistema di sanità pubblica e la possibilità di essere titolari di contratti di lavoro legalmente regolati.
A seguito di questo primo atto, il governo greco sta adottando ulteriori misure in materia di immigrazione. Tra queste vi è l’incremento dei trasferimenti a terra dei richiedenti asilo che si trovano sulle isole. Lo spostamento, però, avviene senza preavviso e, nel caso in cui gli individui si rifiutino di lasciare il loro posto negli hotspot greci delle isole per recarsi nella nuova destinazione la loro richiesta di asilo viene sospesa. L’OXFAM ha giudicato inutili queste pratiche, vista anche la mancanza di strutture adeguate all’accoglienza di un numero significativo di richiedenti asilo nel continente.
Con l’entrata in vigore della nuova legge, poi, si allungano i limiti di tempo previsti per la detenzione delle persone negli hotspot greci, viene ampliata la lista di paesi ritenuti sicuri per il rimpatrio, il disturbo post traumatico non viene più considerato qualificante per fare richiesta dello status di vulnerabilità e diventa quasi impossibile presentare ricorso in caso di rifiuto dell’asilo.
La presentazione della domanda di protezione internazionale, inoltre, diviene più difficile a causa della necessità dello svolgimento di alcune pratiche legali che, a giudizio dell’UNHCR, non ci si può aspettare vengano soddisfatte dai migranti, considerando anche la mancanza di un’adeguata tutela legale loro garantita.
Il 5 Febbraio 2020 gli ospiti del campo di Moria hanno manifestato contro l’inasprimento delle leggi per l’ottenimento del diritto di asilo.
I più a rischio in questa situazione sono i bambini
Molti di loro arrivano in Europa senza genitori, spesso sono costretti a vivere insieme ad adulti con cui non sono imparentati. Questo significa che non viene garantita loro la specifica tutela che gli spetterebbe. I bambini presenti nel campo di Moria sono circa il 42% del totale delle persone ospitate nell’hotspot, mentre a Samos la percentuale della loro presenza è del 29%. Di questi il 19% risulta non accompagnato.
Alcuni di questi minori non figurano nemmeno come richiedenti asilo perché lasciati soli nel percorso necessario ad espletare le procedure legali essenziali alla presentazione della domanda di protezione. Molti, poi, non trovano accesso al sistema di istruzione pubblica. Una delle motivazioni principali è che non sono adeguatamente vaccinati.
Per fortuna, in questi luoghi, dove la civiltà occidentale è nata e sembra oggi essere stata sepolta, c’è ancora chi si fa carico di restituire alle persone che si trovano ad essere ospitati negli hotspot greci, il rispetto che gli è dovuto
È il caso dei volontari della ONG Still I Rise, che operano nell’isola di Samos.
Questi, nel 2018, hanno fondato una scuola per i bambini del campo, chiamata Mazì che in greco significa “insieme”. Qui, oltre ad avere accesso all’istruzione, i bambini ricevono supporto psicologico, svolgono laboratori, danzano, imparano l’arte. Nella scuola hanno, prima di tutto, un luogo sicuro in cui poter sfuggire ai pericoli cui sono soggetti all’interno del campo.
Un progetto fotografico è collegato all’esperienza della scuola. Alcune foto, scattate proprio dai bambini e dai ragazzi del campo, vengono pubblicate sul profilo Instagram dell’organizzazione registrata in Italia e in Grecia. In questo modo è possibile conoscere la vita nell’hotspot di Samos attraverso gli occhi dei suoi ospiti più giovani.
Vediamo il valore intrinseco delle persone provenienti da ogni paese e cultura.
Questo scrivono i volontari sul sito dell’ONG. Fortunatamente qualcuno, in Europa, ancora ricorda quali siano le nostre radici. E, soprattutto, si assicura che siano ancora in grado di dare frutti.
Silvia Andreozzi