Il più grande sciopero degli ultimi vent’anni sta paralizzando Hong Kong.
Dopo quasi un mese di proteste contro la cosiddetta “legge di estradizione”, le mobilitazioni hanno coinvolto in un’onda montante sempre nuovi settori della popolazione, incontrando però una ferma opposizione da parte dei governi di Hong Kong e di Pechino. Il blocco del lavoro di lunedì 5 luglio arriva dopo un weekend di proteste e scontri, che hanno trasformato la città in un teatro di guerriglia urbana. Le rivendicazioni immediate del movimento sono la sepoltura definitiva della “legge di estradizione”, che permetterebbe di essere processati nella Cina continentale per reati compiuti a Hong Kong, e un’investigazione indipendente sulla violenza poliziesca. Infatti, dall’inizio delle proteste, la polizia di Hong Kong ha sparato più di 1000 lacrimogeni ed effettuato più di 500 arresti.
Una mobilitazione in ascesa
L’escalation della lotta contro la legge supportata dal primo ministro di Hong Kong Carrie Lam è il frutto dell’esasperazione della popolazione e delle giovani generazioni dinanzi alla sordità del governo. Ancora nella mattinata di lunedì, in una conferenza stampa, Carrie Lam si è scagliata contro i manifestanti, accusati di mettere in discussione la sovranità di Pechino e il paradigma “un paese, due sistemi”, che regola il territorio a statuto semi-autonomo. Di fronte a una diffusa sollevazione contro quello che viene considerato un governo fantoccio controllato da Pechino, la sospensione della “legge di estradizione” nelle settimane passate non è riuscita a pacificare le proteste, i cui slogan più popolari suonano “Hong Kong libera!”, “Olio sulle fiamme!”, “Questa è la rivoluzione del nostro tempo!”.
Sciopero insurrezionale?
Lo sciopero ha portato alla cancellazione di centinaia di voli, al blocco di 8 linee ferroviarie e a una parziale paralisi delle corse degli autobus. Sebbene manchino dati precisi sull’adesione allo sciopero, le notizie che arrivano da Hong Kong ci danno l’idea che sia in atto uno sciopero con caratteri insurrezionali. Almeno quindici strade e tre tunnel sono stati bloccati, immobilizzando il traffico cittadino. Ma a parte qualche caso di sfondamento delle barricate da parte di autocarri e taxi, il clima sembra quello di una solidarietà generalizzata, con raccolta e distribuzione di cibo tra i manifestanti e gli autisti bloccati nel traffico. Duri scontri tra la polizia e i manifestanti si stanno svolgendo un po’ ovunque, spostandosi da una barricata all’altra, in una giornata che ha già visto 82 arresti e l’intervento a fianco delle forze dell’ordine di bande mafiose, riconoscibili dagli indumenti di colore bianco.
Polizia e mafiosi si danno man forte
La brutalità della polizia contro manifestanti spesso armati solo di ombrelli e l’impiego di bande criminali come forze ausiliarie della repressione hanno gettato carburante su un braciere già vivace e ulteriore discredito sulle autorità e sulla polizia di Hong Kong. Già il 21 luglio, il pestaggio di un gruppo di manifestanti a Yuen Long ad opera di un folto numero di gangster armati di bastoni aveva indignato la popolazione, che negli ultimi giorni si è rivolta alla polizia con l’appellativo di “triadi”, il nome dei mafiosi cinesi.
La collaborazione tra le bande criminali e il governo è d’altra parte abbastanza scoperta, come mostrano la difesa delle azioni squadriste da parte del celebre politico pro-Pechino Junius Ho, il trattamento di favore riservato agli sparuti gangster sotto arresto, le minacce di morte da parte delle triadi al politico d’opposizione Eddie Chu, e delle lettere anonime da parte di supposti pubblici ufficiali che riportano i legami tra i mafiosi e la polizia.
Scontri per il controllo della città
I manifestanti stanno dando l’impressione di voler prendere il controllo della città, che ha visto assalti e assedi alle stazioni di polizia. Nondimeno, il movimento è nella sua essenza pacifico. Un video, girato a Sai Wan dopo una scarica di lacrimogeni da parte della polizia, mostra i residenti cantare in coro “Poliziotti, per favore andate via! Non ci saranno scontri se ve ne andrete!”. D’altronde, alle proteste stanno partecipando anche numerosi impiegati pubblici, spesso mascherati, per evitare rappresaglie. L’intensificarsi della violenza sembra un fenomeno quasi inevitabile davanti alla totale chiusura delle autorità, che ad Hong Kong mantengono il più grande contingente di polizia al mondo in proporzione agli abitanti.
La minaccia dell’esercito cinese
Nelle ultime settimane, si era da più parti sollevato il dubbio di un intervento dell’esercito cinese, l’Armata di Liberazione Popolare, per reprimere le proteste. Gli articoli 14 e 18 della costituzione di Hong Kong prevedono la possibilità che il governo locale possa richiedere l’intervento dell’esercito per mantenere l’ordine. Dichiarazioni bellicose sono arrivate sia da parte del governo centrale sia dal comandante del battaglione di Hong Kong, Chen Daoxiang. Tuttavia, il costo politico e anche economico di un intervento dell’esercito sembra ancora per il momento insostenibile.
Il vento di Tienanmen
La possibilità di una riedizione di piazza Tienanmen, sebbene non impossibile, è improbabile. D’altra parte la controparte che il governo cinese si trova di fronte è ben diversa da allora. Un mese di scontri violenti rendono la popolazione di Hong Kong un avversario ben più temibile delle folle di piazza Tienanmen. E molto diversa è anche la situazione politico-economica. L’economia di Hong Kong è in recessione e il prezzo degli immobili rende praticamente impossibile a molti giovani trovarsi una propria sistemazione. Negli ultimi dieci anni, il prezzo degli immobili è aumentato del 242%, e l’affitto di un appartamento con una stanza da letto erode quasi totalmente il salario medio di un lavoratore e supera abbondantemente quello di una lavoratrice.
L’anello debole
Non è un caso che le proteste siano scoppiate qualche giorno dopo una affollata commemorazione della strage di Tienanmen a Hong Kong, l’unico territorio cinese in cui è possibile celebrare la tragedia. L’inasprimento delle condizioni di vita sta rendendo sempre più intollerabile il pugno di ferro di Pechino e il suo asfissiante apparato di controllo politico. La “legge di estradizione” ha rappresentato per la popolazione di Hong Kong una seria minaccia di assimilazione al sistema totalmente dittatoriale della Cina continentale. Se il portentoso sviluppo economico che ha seguito Tienanmen ha spinto molti a ingoiare le lacrime, la stabilità politica ed economica della Cina è sempre più fragile, e le catene si spezzano sovente nel loro anello più debole.
Francesco Salmeri