Honduras: vittima di stupro non può abortire e denuncia lo stato all’ONU

Costretta a non abortire dopo aver subito violenza sessuale: indigena denuncia l'Honduras alle Nazioni Unite.

stato Honduras denunciato all'ONU per violazione diritti umani

Per la prima volta nella storia, lo stato dell’Honduras viene accusato di fronte all’Organizzazione delle Nazioni Unite di aver violato i diritti umani di una propria cittadina, impedendole di abortire il feto concepito in seguito a uno stupro. 

Si chiama Fausia, ha 34 anni ed è un’attivista sostenitrice e portavoce dei diritti del gruppo di popoli indigeni Nahua, a cui lei stessa appartiene. Nel 2023 Fausia è stata aggredita da due uomini, subendo violenza sessuale da uno di loro, come ritorsione verso il suo costante impegno nella difesa del territorio indigeno e dei diritti della sua gente.

Rimasta incinta dopo lo stupro, la donna è stata costretta a partorire perché le leggi dell’Honduras vietano l’aborto in ogni situazione: in caso di violenza, di grave malformazione del feto e persino in caso di rischio per la sopravvivenza della donna. Fausia si è quindi rivolta all’associazione Centro de Derechos de Mujeres (CDM) che opera in maniera indipendente sul territorio dell’America latina in difesa dei diritti delle donne, e alla ONG Center for Reproductive Rights (CRR), con cui ha agito legalmente per presentare il suo caso al Comitato per i diritti umani dell’ONU di Ginevra.

La dura legge dell’Honduras contro l’aborto

Un emendamento effettuato nel 2021 ha infatti inasprito una legge – l’articolo 126 del codice penale honduregno – già di per sé molto restrittiva nell’ambito dell’interruzione volontaria di gravidanza, stabilendo una pena fino a dieci anni di carcere per la donna che abortisce. La pillola contraccettiva di emergenza (ECP), la cui assunzione è ad oggi consentita sul territorio honduregno solo per le vittime di violenza grazie agli appelli da parte di organizzazioni non governative come Emergency, era, fino all’anno scorso, ancora vietata, e Fausia non aveva potuto usufruirne.

La direttrice del CRR, Carmen Cecilia Martinez, afferma che «in molti paesi l’aborto viene criminalizzato a discapito delle donne che si trovano in situazioni particolarmente vulnerabili» e che il triste caso di Fausia «può servire ad accendere i riflettori sul grave problema che interessa buona parte dell’America Centrale». 

Violenze sulle donne honduregne: i numeri

Nonostante negli ultimi trent’anni molti stati americani abbiano legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza, sono ancora molti i paesi che mantengono una totale chiusura sul tema. Gli stati dell’America Centrale in cui l’aborto è ad oggi completamente vietato sono: El Salvador, Nicaragua, Haiti, Santo Domingo e, chiaramente, Honduras. Secondo un’indagine risalente al 2022 del Ministero della Salute dell’Honduras, ogni giorno in media tre ragazze sotto i 14 anni vengono ingravidate subendo violenza, senza poter cambiare in alcun modo la propria condizione. Inoltre, secondo l’Osservatorio dei Diritti umani delle donne, l’Honduras è il paese più pericoloso del centro America per il genere femminile, con un tasso di 386 femminicidi nel 2023, il 30% in più dell’anno precedente.

Lo scopo della denuncia all’ONU

Regina Fonseca, portavoce del Centro de Derechos de Mujeres cui Fausia si è rivolta, ha dichiarato che l’obiettivo di Fausia è raggiungere la giustizia e salvare molte donne da un destino simile. Fonseca afferma che le gravidanze indesiderate possono peggiorare lo stato psicofisico delle donne vittime di violenza, portandole talvolta al suicidio come ultimo atto estremo di autodeterminazione del proprio corpo. L’ONU è stata quindi coinvolta con l’obiettivo di spingere l’Honduras a modificare il quadro legislativo sull’aborto, che è un diritto umano inalienabile e un servizio sanitario essenziale per tutelare tutte le donne. Tuttavia, il governo honduregno è a netta maggioranza conservatore, quindi un netto cambiamento sembra improbabile al momento.

«La lotta di Fausia è per la salute di tutte»

Il caso è già stato ripreso da piccole testate locali e indipendenti come Reportar sin Miedo, che sui social sta cercando di rendere virale l’ashtag #Fausia al grido di «La lotta di Fausia è per la salute di tutte». In nome di tutte le donne in arresto in Honduras e nel mondo colpevoli di aver abortito, e in nome di tutte le donne che non l’hanno potuto fare, costrette a partorire figli che ricorderanno loro per sempre la violenza subita, dobbiamo sperare che l’ONU proceda a sanzionare lo stato dell’Honduras o quanto meno intimi un cambio di rotta, e che il grido di protesta di Fausia risuoni forte e chiaro anche in Europa, dove la lotta per i diritti è ancora una lotta necessaria oggi più che mai.

 

Michela Di Pasquale

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