Che il cinema e Hollywood siano sensibili alla politica, lo si è visto fin dalle posizioni forti, quasi da reazioni chimiche, del coinvolgimento nella WWII fino agli anni ’70.
Con o contro il potere, il cinema esprime, veicola l’ideologia, in uno scontro fatto di immagini e impegno dietro le quinte e non. Ora ne abbiamo un esempio.
Nel post-Obama, l’America ha trovato un terreno di sfida che ha reso la città e la provincia nemiche acerrime. I mass media hanno creato, al tempo delle elezioni, una sfida manichea a favore della Clinton, sottovalutando non solo le sue falsità ma creando un velenoso percorso ad ostacoli per un candidato scomodo, osceno ed improbabile come Trump, che invece ha sbaragliato tutti.
I liberali di Hollywood sono stati colpiti al cuore. Ma ciò che stava dietro a queste facciate non ha tardato a farsi notare: è emerso lo spaccato di una nazione divisa più che mai.
In questo calderone, bianchi e neri si sono sfidati perfino in una battaglia d’opinione che ha investito gli Oscar e il tremendo twist tra Moonlight e La La Land. A rincarare la dose nelle retroguardie c’erano associazioni LGBT, femministe, il popolo liberal del web e un’esplosione di razzismo represso che non si vedeva da anni. A quanto pare Obama è stato la Pandora d’America. Vediamo ora come ciò abbia colpito il cinema.
Tra femminismo e sesso fluido
Che la Disney stia puntando ai remakes non è un mistero. Ma una gran sorpresa nella versione live action de La bella e la bestia è stata la notizia di rendere Le Tont, spalla del villain Gaston, gay. Emma Watson ha poi voluto aggiungere al tutto un tocco femminista al ritratto di Belle, che a dir la verità, soprattutto per lo scopo commerciale del film, è parso piuttosto forzato. Le lobby non sono lontane e la Disney sta cavalcando la loro onda.
Molte star come la Watson e la splendida Jessica Chastain si sono messe in prima fila per nuove discussioni sul ruolo della donna nell’industria cinematografica.
I risultati, parlando della Chastain, hanno portato non soltanto a scelte di ruoli splendidi e complessi (Zero Dark Thirty, Miss Julie e Miss Sloane ne sono un fulgido esempio), ma ad una visibilità maggiore nel dibattito sui pagamenti tra uomo e donna sul posto di lavoro, una coscienza ed un sostegno maggiore per le registe donne di Hollywood.
Questi dibattiti di sicuro porteranno all’emersione di talenti nuovi, che arricchiranno il panorama. Ma c’è sempre un lato oscuro per ogni successo. Soprattutto quando la gente punta alla quantità e non alla qualità.
La rappresentazione delle vittime del gentil sesso nell’industria ha portato non soltanto alla ribalta problemi da estirpare ma anche l’isterismo di attrici come Lena Dunham (Girls), la corrente del femminismo vittimista e riduttivo “anti-patriarcato” di Gloria Steinem e Laura Mulvey, già spuntato nel mondo televisivo con la sitcom Parks and Recreations, Feud, nella musica di Beyoncé, Katy Perry, J-Lo e la campagna della Clinton. Il tutto lasciando fuori dal coro figure dalla grande coscienza politica come Susan Sarandon e la praticità concisa e diretta, pre-politica, della grande Jane Campion.
Il movimento gay, inoltre, ha lottato da un lato contro la discriminazione anti-omosessuali in Hollywood, ma da un lato ha creato degli obblighi non necessari per l’integrazione, come l’inclusione di un personaggio gay in ogni serie tv, senza che però ci sia una necessità umana ed artistica dietro perfino a personaggi riusciti.
Si aggiungano a questi fattori l’isterismo del fluid gender del movimento gay, citato anche dallo sceneggiatore Tarell Alvin McCraney agli Oscar per la vittoria di Moonlight ed il gioco è fatto.
Moonlight è il racconto di un’anima usato in un modo disgustoso dalla politica, capito realmente da pochi. Ma è anche il film che ci porta al nostro secondo punto: la razza.
Black power
Con Trump presidente la comunità nera avrebbe avuto una bella gatta da pelare: su questo potevamo starne certi. Ma anziché scadere nelle becere conclusioni di certi esponenti dei movimenti di cui abbiamo già parlato, la comunità afroamericana ha sfoderato il meglio di sé.
Il loro sentimento unitario, come sappiamo, non deriva da unioni di più personalità frammentarie, ma da una coscienza di gruppo evangelica che ha investito la musica e le arti. Il cinema non è stato indifferente. Moonlight è stato solo la punta dell’iceberg. Nessuna comunità in America ha prodotto tanto come loro dal punto di vista artistico, il che ha perfino posto un freno al whitewashing così frequente nell’industria a scapito delle altre etnie.
L’esempio più grande quest’anno è stato il blockbuster flop Ghost in the shell con Scarlett Johansson. Tratto da un capolavoro dell’anime giapponese, ha suscitato grandi polemiche per la scelta di un’attrice non asiatica. Non ci sarebbe stata, secondo i detrattori, la rappresentazione etnica giusta. Ma va detto che queste polemiche non venivano dal Giappone.
Intanto, non solo sono emersi nuovi talenti dalla comunità di colore straordinari ma anche prodotti seriali e cinematografici di livello altissimo.
Le serie televisive Empire, Luke Cage, The Get Down sono un esempio di perfetta mostra del talento afroamericano, tra cui spiccano un’attrice finissima come Taraji P. Henson e nuovi arrivati. Non parliamo poi del nuovo orgoglio dell’intera comunità, Viola Davis.
Gli scontri con il white privilege hanno fatto tornare sul piede di guerra non solo Spike Lee con il suo Chi-raq, inedito in Italia e il geniale Justin Simien con il suo film Dear White People (2014) e la serie Netflix ad esso ispirata e di recente uscita.
La riflessione sul passato della comunità si è fatto meno ingenuo dai tempi di 12 anni schiavo ed è entrato più a fondo, con l’aiuto di grandissimi artisti. Il film Straight outta Compton ci offre uno spaccato sulla creazione del fenomeno del rap.
Il 18 maggio avremo poi in sala l’horror razzista Scappa-Get out di Jordan Peele, incubo in immagini sui rapporti bianchi-neri.
Una fucina di talenti di tutto rispetto, insomma. Qui il talento emerge genuino e la lotta anti-Trump, le sommosse, stanno facendo ribollire l’atmosfera. Da questa stagione cinematografica abbiamo molto da aspettarci.
L’America non sta tardando a darci il meglio di sé. E per fortuna, non con dei blockbuster.
Antonio Canzoniere