Su Adolf Hitler si sono dette e scritte moltissime cose. Ormai tutti sappiamo chi fosse, quali mire avesse e cosa fu in grado di architettare per raggiungere i propri scopi. Eppure, c’è qualcosa che forse in pochi sanno e su cui non ci si sofferma molto, quando si pensa al Führer. A chi fu affidato il compito di disegnare le sue divise? Niente di meno che Hugo Boss, sì il famoso stilista che diede vita all’omonima casa di moda, ancora esistente.
L’ingaggio da parte del Führer
Hugo Ferdinand Boss fondò la sua azienda nel 1924 a Metzingen, una cittadina a sud di Stoccarda. A quel tempo, l’economia tedesca navigava in brutte acque e la sua azienda non riuscì ad avere fatturati sufficienti per rimanere a galla. Così, nel 1930, dichiarò bancarotta; ma Hugo Boss non si arrese. Da poco, aveva cominciato a farsi notare un personaggio di nome Adolf Hitler, che fondò il partito nazionale socialista, a cui Hugo Boss aderì. Ebbene sì, lo stilista era un nazista. Non solo, Hitler stesso lo contattò e gli affidò il compito di disegnare le divise delle SS e anche le sue. Tutto ebbe inizio con le camicie brune, simbolo del partito e delle SA, la sua milizia. Dopo l’ascesa al potere di Hitler, la ditta di Hugo Boss fu una delle principali produttrici di uniformi per la Wehrmacht (l’ esercito), per le SS e per la Hitlerjugend, la gioventù nazista. La sua azienda ricavò molti profitti dalla sua collaborazione con il nazionalsocialismo. Ma non era Hugo Boss a decidere il taglio e lo stile delle divise naziste. Nel 1933, la casa di moda diventò la fornitrice ufficiale di divise militari per i gerarchi nazisti. Per riuscire a produrre gli abiti necessari, vennero adoperati dei lavoratori forzati: in tutto 140 (per la maggior parte donne) e altri 40 prigionieri di guerra francesi. Insomma, Hugo Boss sfruttava persone deportate e carcerate.
La battuta di arresto
Com’è noto a tutti, le cose non andarono molto bene a Hitler e al suo Terzo Reich: venne sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale e si suicidò. Gli altri gerarchi nazisti vennero catturati e condannati a morte negli anni successivi. Tutto ciò influì sull’attività di Hugo Boss, che venne accusato di essere un sostenitore del Nazismo. Venne dunque condannato a pagare una multa di 100,000 Reichsmarks, e privato del diritto di voto. Tre anni dopo la fine del conflitto, nel 1948, lo stilista morì. Con la fine della guerra e la sua morte, anche la sua compagnia si avviava al tramonto, dal momento che non c’era più bisogno di divise militari.
La ripresa
Dopo cinque anni, nel 1953, l’azienda cominciò a produrre vestiti per uomo, ambito in cui si distinse, raggiungendo il primato a livello nazionale e, negli anni successivi, si affermò come uno dei marchi più prestigiosi a livello mondiale. A metà degli anni Ottanta, la Hugo Boss entrò in borsa e nel 1993 espanse la sua gamma di produzione. Ad oggi, oltre alla linea di abbigliamento maschile, ce n’è anche una femminile e una dedicata alla produzione di fragranze da uomo e da donna.
Il mistero svelato
A far luce su questo passato assai scomodo è stato il libro pubblicato da Roman Koester, docente all’Università di storia militare di Monaco. A commisionare lo studio era stata l’azienda stessa, che voleva chiarire quanto era avvenuto all’epoca del Nazismo. Purtroppo le ricerche condotte hanno svelato l’amara verità e la casa di moda, sentendosi in imbarazzo, ha chiesto ufficialmente scusa per i maltrattamenti subiti dai lavoratori-schaivi.
«È chiaro che Hugo Boss non solo si iscrisse alla Nsdap (partito nazionalsocialista tedesco) per assicurarsi contatti vantaggiosi per la sua azienda, ma che lo fece anche perché era un convinto sostenitore del nazismo».
Così si legge nel libro, intitolato Hugo Boss, 1924-1945: una biografia critica dell’imprenditore di moda. Visti i risultati di tali ricerche, la Hugo Boss ha poi pubblicato un comunicato sul suo sito, esprimendo: «il suo profondo rammarico verso quelle persone che hanno sofferto un danno e un forte disagio mentre lavoravano nell’azienda di Hugo Ferdinand Boss sotto il regime nazional-socialista».
Una storia che non smette di stupire
Insomma, a oltre 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, Hitler non smette di stupire. Non solo fece deportare ed uccidere milioni di persone in campi di concentramento, ma ne sfruttò alcune per produrre le divise sue e delle SS. Per non dimenticare chi è stato e cosa ha fatto, oggi e per sempre.
Carmen Morello