Può l’obbedienza essere così cieca da trasformarsi in rifiuto degli ordini? La storia del tenente giapponese Hiroo Onoda e di come si sia arreso solo trent’anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Conoscete sicuramente il film Mediterraneo, di Gabriele Salvatores. Se non l’avete mai visto, colpevolmente, dovete recuperarlo e immergervi nell’atmosfera incredibilmente leggera di un gruppo di soldati italiani che vengono messi di guardia sull’incantevole isola di Kastellorizo, tra Grecia e Turchia, e che poi nessuno più avvisa che, sì, la seconda guerra mondiale è finita. E’ una storia a suo dolceamara, troppo scanzonata per essere vera, ma anche troppo delicata per essere completamente inventata.
Ed è una storia che la sua fondatezza la trova a diecimila chilometri di distanza, su un’isola delle Filippine che si chiama Lubang, poco a sud di Manila. E’ qui che, il 26 dicembre 1944, arriva un gruppo di soldati giapponesi, inviati per contrastare gli attacchi nemici sull’isola. Tra questi c’è anche un ragazzo di 22 anni, che si chiama Hiroo Onoda ed è un ufficiale. La situazione è confusa, l’isola è poco conosciuta, ma c’è una cosa che è cristallina: l’ordine di non arrendersi, in nessuna circostanza. “Distruggete la pista di atterraggio, il molo del porto, ma non arrendetevi”, queste le parole dei superiori. E’ l’essenza del Bushido, il rigidissimo codice morale dei soldati nipponici: onore, dovere e lealtà ed eroico coraggio.
L’arrivo degli Alleati
Dicevamo: eravamo nelle Filippine. Le forze degli Stati Uniti e del Commonwealth filippino riprendono il controllo dell’isola a fine febbraio del 1945. In pochi giorni, i soldati giapponesi vengono costretti alla resa o uccisi. Solo un piccolo gruppo di quattro persone resiste. Tra queste c’è Onoda. Ormai è diventato tenente: è lui che guida i compagni e pianifica la strategia, fatta di nascondigli e qualche sparatoria, sui 125 chilometri quadrati dell’isola.
La fine della guerra
La guerra, intanto, va avanti: finisce in Europa e nell’agosto del 1945 piomba l’inferno su Hiroshima e Nagasaki. La resa del Giappone arriva poco dopo, ma sull’isola di Lubang la notizia non raggiunge il gruppo di Onoda, nascosto sulle montagne. Solo in ottobre, i quattro soldati trovano un volantino che annuncia la fine della guerra con la resa del Giappone. Sono gli stessi isolani a lasciare più messaggi a Onoda e al resto della compagnia: “La guerra si è conclusa il 15 agosto, scendete dalle montagne!“, scrivono i filippini. Nulla da fare: i soldati liquidano i biglietti come propaganda nemica. Dalla comunicazione informale, si passa all’ordine di resa ufficiale: il generale giapponese Yamashita fa lanciare dei volantini per via aerea. Niente, nemmeno in questo caso: i volantini vengono archiviati dal gruppo di Onoda come falsi.
I primi contrasti
Nel gruppo iniziano però a presentarsi alcuni dissapori. Sono già passati quattro anni e nel settembre del 1949 il soldato Akatsu si allontana dal gruppo. Rimane sei mesi da solo e nel 1950 si arrende ai filippini. Con il timore che Akatsu riveli ai nemici le loro strategie, i tre, intanto, diventano ancora più prudenti e sospettosi. Nel 1952, altri aerei lasciano cadere lettere e foto di famiglia, con l’invito ad arrendersi. Indovinate? Niente da fare. Nel 1954, nel gruppo rimangono in due: un altro membro viene ucciso da una squadra di ricerca. Rimangono soli, Onoda e Kozuka, fino al 19 ottobre 1972. Dopo 27 anni passati insieme nei boschi, però, anche Kozuka viene ucciso mentre sta bruciando il riso dei contadini locali.
La missione di Suzuki
Il caso di Onoda, intanto, in patria, diventa un vero e proprio grattacapo. Sulle sue tracce, nel 1974, si mette uno studente, Norio Suzuki.
“Viaggio per il mondo per cercare il tenente Onoda, un panda, e l’abominevole mostro delle nevi. In quest’ordine”.
Norio Suzuki
Suzuki trova Onoda dopo quattro giorni. Onoda, seppure diffidente, classifica il connazionale come un hippie innocuo e ci fa amicizia. Incredibilmente, però, rifiuta di arrendersi. Alle insistenze di Suzuki, il tenente dice che è in attesa di ordini da un ufficiale superiore. Allo studente, quindi, non resta che tornare in Giappone e cercare di rintracciare e convincere qualche vecchio comandante dell’esercito a recarsi con lui a Lubang. Trova il maggiore Taniguchi, che nel frattempo è diventato un libraio.
L’arrivo del maggiore Taniguchi
Taniguchi e Suzuki atterrano sull’isola il 9 marzo del 1974. Il maggiore incontra Onoda. Nel 1944, era stato proprio lui a promettergli (forse con un po’ troppa leggerezza) che qualcuno sarebbe tornato a recuperarli. Taniguchi, a questo punto, trasmette a Onoda l’ordine ufficiale:
“In accordo con il comando imperiale, la Quattordicesima Armata di Area ha cessato ogni attività di combattimento. Conformemente al comando del quartier generale militare n. A-2003, lo squadrone speciale del quartier generale del personale è sollevato da tutti i compiti militari.
Le unità e gli individui sotto il comando dello Squadrone Speciale devono immediatamente cessare le attività e le operazioni militari e mettersi sotto il comando del più vicino ufficiale superiore”.
Dopo 29 anni di resistenza, quindi, il tenente Hiroo Onoda si arrende. Restituisce la spada, il fucile, ancora funzionante, e 500 colpi, oltre al pugnale che la madre gli aveva dato nel 1944 per uccidersi se fosse stato catturato.
Sebbene abbia ucciso alcune persone e abbia sparato spesso contro la polizia, le circostanze portano il governo delle Filippine a concedergli la grazia, visto il convincimento incrollabile con cui Onoda credeva nella prosecuzione della guerra.
Hiroo Onoda: una figura ambigua
Al suo ritorno in Giappone, il tenente è accolto con gli onori del caso. Alcuni, addirittura, sperano che si candidi in politica. Il governo gli offre dei soldi, ma Hiroo Onoda li rifiuta e, solo dopo numerose pressioni, li accetta per poi darli in beneficenza. Inizialmente lusingato da queste attenzioni, Onoda scrive un libro e rilascia interviste anche ai media filippini. “Dimentica” di menzionare l’uccisione di più persone e questo gli attira numerose critiche. Si trasferisce in Brasile, dove si dedica al bestiame e possiede un grande appezzamento di terra, sul quale l’aeronautica brasiliana organizza anche degli addestramenti. Fa ritorno in Giappone nel 1984, per fondare dei centri educativi per giovani. Nel 1996 visita Lubang e offre 10 mila dollari alla scuola locale.
I soldati fantasma
Dopo una vita trascorsa combattere una guerra ormai inesistente, in un grande intreccio contraddittorio di obbedienza e sospetto, il tenente Hiroo Onoda muore il 16 gennaio 2014, dopo una polmonite. La sua figura solleva ancora oggi sentimenti contrastanti, dall’ammirazione per la tenacia a una riflessione sulla cecità dell’obbedienza. La sua storia non è un caso isolato nella società giapponese: si parla dei cosiddetti “soldati fantasma“. Onoda è stato ufficialmente l’ultimo ad arrendersi. A onor del vero, alla fine del 1974 era stato recuperato sull’isola indonesiana di Morotai il soldato Teruo Nakamura, individuato qualche giorno prima da un aereo da ricognizione. Nakamura però non era giapponese, poiché nato a Formosa: il governo nipponico non gli conferì dunque nessun riconoscimento speciale. Addirittura negli anni Novanta, erano circolate notizie in merito a fantomatici ufficiali giapponesi ottuagenari riemersi dopo cinquant’anni, ma si è sempre trattato di storie che non hanno trovato riscontro nella realtà.
Elisa Ghidini