Non uscire dalla propria camera, stabilire confini immaginari da non superare e vivere solo la realtà virtuale dei videogame e dei giochi di ruolo. Questa è la nuova emergenza sociale che prende il nome di “hikikomori”, nata in Giappone e che rapidamente si è diffusa in tutta Europa e in Italia.
Hikikomoro è una parola giapponese che letteralmente significa “isolarsi, stare in disparte” ed è proprio questo bisogno di solitudine che spinge sia giovani che meno giovani a interrompere gli studi o la loro carriera professionale e relazioni per rifugiarsi nella realtà virtuale.
In Italia si ipotizza che vi siano centomila casi del genere ma si tratta di stime sommarie poiché non esiste una cifra precisa. Infatti come spiega il fondatore dell’associazione italiana Hikikomori Italia, Marco Crepaldi: “Questo numero è una proiezione nazionale dei casi che noi rileviamo tramite i nostri canali. Non siamo i soli a sostenerlo. Anche altre cooperative e professionisti del settore, vedendo aumentare esponenzialmente le richieste di aiuto da parte di genitori di ragazzi con problemi di isolamento sociale, hanno fatto una stima in linea con la nostra”.
Molto spesso, in maniera superficiale, si tende a interpretare l’hikikomori come sintomo di depressione ma è un fenomeno molto più complesso e con molteplici sfaccettature.
Come emerge dalle chat dove si confrontano tutti i soggetti coinvolti in questa emergenza sociale, la fascia più colpita è quella compresa tra i 16 e i 25 anni. Nella chat Hikikomori under 25 vi sono infatti più di 450 iscritti ma per potervi far parte vi è bisogno di approfondite competenze informatiche che vengono valutate tramite domande molto dettagliate. Se dimostri di non possederle, avviene il blocco automatico.
Ma il dettaglio che colpisce di più è la loro visione di “uscita serale”: appena uno dei membri digita “Ragazzi usciamo questa sera?”, giungono le proposte per incontrarsi virtualmente in una determinata piattaforma e prendere parte a un gioco di ruolo o videogame. Rimangono così tanto coinvolti nella loro realtà virtuale che alcuni riescono a giocare sino a 32 ore consecutive, saltando pure i pasti poiché non capiscono più quando finisce il giorno e inizia la notte.
Ma l’Hikikomoro è molto di più da una passione sfrenata per i videogiochi. È un ritrovo per sfuggire alla “pressione di realizzazione sociale”, come spiega Marco Crepaldi. Le chat diventano il diario segreto in cui sfogarsi e condividere la loro inquietudine con chi è perseguitato dagli stessi “fantasmi”.
Come Alberto, 30 anni e la necessità di non superare la porta della sua camera: “Mi hanno violentato psicologicamente quando ero piccolo. Da quel momento in poi non ho più avuto la forza di reagire”.
Crepaldi con la sua associazione Hikikomori Italia, insieme agli amministratori, cerca di imporre regole rigide e bannare chi non le rispetta così da evitare che “la chat diventi un posto dove vengono veicolati messaggi pericolosi e potenzialmente in grado di incentivare l’isolamento. Detto questo, è impossibile monitorare tutto quello che viene scritto”.
Nelle altre chat, dove l’età aumenta, si segnalano le varie opportunità lavorative per lavorare direttamente da casa o ci si confronta su temi di attualità come il bitcoin. Ma si interagisce anche con chi è riuscito a reintegrarsi nella società e può dare consigli utili per affrontare in maniera più attiva il proprio disagio.
Una realtà virtuale dove non si affrontano notizie inerenti la politica ma si rimane aggiornati sull’attualità grazie ai vari siti d’informazione. Si decide di incontrarsi virtualmente il sabato sera e di partecipare a giochi di gruppo come indovinare le canzoni attraverso audio di 10 secondi.
Un fenomeno pericoloso, dove il numero dei casi può aumentare a vista d’occhio visto che viviamo in una società sempre più competitiva e con sempre meno opportunità lavorative. In Giappone durante gli anni 80 ovvero quando si è diffuso l’hikikomori, i casi erano solo una migliaia. Ora si parla di un milione di casi diagnosticati e l’aumento spropositato, secondo l’associazione Hikikomori Italia, deriva dal fatto di aver sottovalutato questo grido virtuale di attenzione.
Per evitare che ciò accada anche in Italia, è necessario far conoscere il fenomeno, sensibilizzare i giovani e gli adulti e per far ciò, bisogna coinvolgere tutti i soggetti istituzionali.
Dorotea Di Grazia