Al sentire “Rousseau”, l’associazione immediata è quella con il filosofo. Ma c’è un altro Rousseau che ha lasciato un segno indelebile: Henri Rousseau.
Henri Rousseau è nato nel 1844 ed è sempre stato interessato alla pittura, ma in gioventù le circostanze della vita lo costrinsero ben presto a mettere in secondo piano le sue passioni, dovendo lavorare per sopravvivere.
Dopo una brave esperienza nelle milizie, lavorò al dazio di Parigi fino al 1893, quando decise di dedicarsi a tempo pieno all’arte. Famoso per essere un autodidatta, in realtà non fu troppo lontano da quello che era il mondo degli accademici, e fu sostenuto e incoraggiato da da due artisti accademici del tempo, Gerôme e Clément.
Chi ha avuto la fortuna di vedere una sua opera esposta, sa bene che è un’esperienza che non si dimentica.
Se è vero che alcune opere sono più celebri di altre, è altrettanto vero che l’intera opera di Henri Rousseau ha un filo conduttore: un’altissima densità di incanto. Nella Francia post-impressionista, in un’epoca in cui ogni contorno era divenuto sfumatura e suggestione nelle mani degli impressionisti, Henri Rousseau ristabilisce l’autorità del disegno nella pittura, cercando la forma e il dettaglio, descrivendolo con la maestria dei grandi del passato. Guardare le foreste dipinte dall’artista francese, sembra di ritrovare il tocco di Botticelli che dipinge le centinaia di varietà di piante della Primavera.
Ma l’incantesimo non finisce qui, anzi, questo è solo l’inizio.
Guardare un quadro di Rousseau significa abbandonare qualsiasi dimensione spazio temporale per abbracciare un mondo primitivo, edenico, fatto di suggestioni e musicalità silenziose. Un intreccio che non concede nessun tipo di distrazione, e suggerisce una malinconia verso un paradiso ormai perduto. Quasi una profezia onirica, in una landa esotica.
Lontano da un tempo specifico, Henri Rousseau ci racconta una storia che è quella dell’uomo selvaggio, immerso in una natura di spazi oscuri, ma anche luminosi, e fiere dantesche.
L’incantatrice di serpenti (1907) fuoriesce dalla penombra per regalare al mondo il canto delle sirene di Ulisse, con il suo flauto. Tra reale e sogno.
La Guerra (1894), furente, in groppa alla sua belva, porta disperazione, lacrime, rovina. Sembra quasi vista dagli occhi di un bambino diventato adulto, senza perdere il proprio candore e tantomeno, in qualche modo, ingenuità, penetrando all’essenza prima del mondo.
E lo spettatore che guarda un dipinto di Henri Rousseau non può che rimanere a sua volta sospeso, tra la tela e lo spazio reale, tra l’origine delle cose e il suo divenire.
Sofia Dora Chilleri