Le logiche della società consumistica tendono a introdursi in ogni ambito della vita dell’uomo, modificandone l’atteggiamento e le abitudini. In un mondo dove l’immagine estetica é venduta come il traguardo per la felicità, e dove l’espansione del capitale economico è considerato più importante della salute pubblica e individuale, anche la percezione di “healthy food” ne esce incrinata, subendo trasformazioni in corrispondenza degli umori del capitale.
Il sistema che caratterizza la società dei consumi, promuovendo come norma i cibi processati di scarsa qualità, a basso costo, spinge gli individui a percepire gli alimenti naturali e biologici come eccezionali rispetto a una condizione di norma alimentare, creando così una barriera tra gli individui e la loro facoltà di mantenere o acquisire abiti alimentari consapevoli e salutari. Si tratta di una dinamica complessa e multifattoriale, già analizzata, in alcune delle sue parti, nell’articolo ““Healthy Food”: come il consumismo ha trasformato gli abiti mentali sull’alimentazione”.
In questo testo, invece, verranno osservati due ulteriori aspetti paralleli che, assieme alla “concezione di eccezionalità” trattata in precedenza, concorrono all’intensificarsi delle difficoltà nel sostenere una dieta effettivamente sana. La lente di ingrandimento sarà ora focalizzata sul mito dell’healthy food nell’industria del fitness, e sulle conseguenze socio-economiche del consumismo alimentare.
A sorreggere la barriera che si frappone tra individuo e alimentazione quotidiana salutare è la realtà dei cibi ultra-lavorati, venduti come salutari dall’industria del fitness. Prodotti industriali propinati come “healthy” (snack, barrette, polveri e integratori) venduti a prezzi elevati e troppo spesso promossi come essenziali per una “dieta sana”, rappresentano un’illusione che costruisce un’errata percezione dell'”Healthy food”, contribuendo ad ampliare il già importante divario socio-economico nell’accesso a una dieta equilibrata. Infatti, operare scelte alimentari sane all’interno del contesto urbano della società contemporanea é da considerarsi un privilegio a cui solo pochi nuclei benestanti possono accostarvisi in modo costante e spensierato.
Questi due fattori, il mito dell’ “healthy food” e il divario socio-economico, rappresentano le conseguenze indirette delle logiche consumistiche; si intrecciano al tessuto sociale determinando le distanze tra l’essere umano e un atteggiamento alimentare innato e naturale.
Un salto nel passato per capire il presente: il consumismo
Gli anni post bellici, in modo particolare quelli fra il ’50 e il ’70, furono caratterizzati da un’espansione economica che ebbe come risultato un rapido e significativo miglioramento delle condizioni di vita, in particolare quelle delle classi lavoratrici. Con l’aumento del reddito familiare aumentò la domanda, e con essa i consumi. Ciò che contraddistinse questo momento storico, però, non é da rinvenire unicamente nella generale crescita di domanda e nell’aumento globale dei consumi, ma anche nella loro inedita composizione.
Il consumo dei beni non essenziali, che fino a prima era riservato alle classi agiate, diventa accessibile a quasi tutte le famiglie salariate. Questo boom di consumi superflui fu la conseguenza di una serie di fattori, tra cui: l’aumento dei redditi, il calo dei prezzi di molti beni derivanti da una produzione in grande serie a costi decrescenti, dalla nascita dei supermercati, e dall’intensificarsi dei messaggi pubblicitari emessi tramite i nuovi mezzi di comunicazione di massa.
In questo contesto di progresso e benessere però si delinearono alcune dinamiche da cui tuttora la società è fortemente connotata: il rapido invecchiamento tecnologico della maggior parte dei prodotti industriali, la crescente esigenza di sostituirli con qualcosa di più innovativo; dunque, la spinta alla sostituzione dei beni come abbigliamento, oggettistica di uso corrente, macchine, senza che vi siano necessità legate a usura o malfunzionamento.
Si tratta del primo momento storico in cui, sia classi agiate, che medie e popolari, hanno cominciato ad abbracciare, senza rilevanti distinzioni, la tendenza allo spreco, rendendolo, appunto, un abito di massa – complice il condizionamento dato dalle pubblicità, capace di ricamare ad hoc sempre nuovi desideri e bisogni da soddisfare, riversando l’individuo in una condizione di consumo continuo.
Questo evento, che si rivela uno spartiacque tra la società moderna\industriale e quella contemporanea, ha influenzato l’atteggiamento dell’essere umano, creando nuove e apparenti esigenze da nutrire, come ad esempio quelle alimentari, che troppo spesso non coincidono con quelle nutrizionali. Portando così alla luce un nuovo uomo: l’Homo Consumens.
Il mito dell’healthy food: un nuovo bisogno ricamato ad hoc
Tra le nuove necessità dell’epoca contemporanea emerge quella del corpo perfetto. A incentivare tale desiderio, usufruendo dei profitti economici che se ne possono trarre, sono l’industria del fitness e l’industria alimentare ad essa associata che hanno contribuito a stravolgere la concezione di “healthy food”. Da diversi anni vi è una forte spinta all’acquisto di prodotti “rich-in”, nonché tutti quei prodotti industriali arricchiti da proteine o sostanze nutritive aggiunte artificialmente.
Ma quando la spinta si trasforma in consuetudine – dove una famiglia su tre acquista una determinata categoria di prodotti – occorre allontanarsi dalla definizione di “tendenza” e definirla abitudine di consumo.
Infatti, dallo studio semestrale sui comportamenti d’acquisto a cura dell’Osservatorio Immagino si legge che “l’universo dei prodotti rich-in continua a essere dominato dalle “proteine”, che, pur essendo il secondo claim per numerosità dei prodotti a scaffale (3,9%) dietro a fibre, ne è il principale per giro d’affari (5,4% di incidenza sul totale del mondo alimentare)”
Il concetto di “Healthy food” ha subito nel tempo una notevole distorsione: se il vero cibo salutare consiste, in verità, in quello naturale e privo di lavorazioni chimiche invasive, oggi, invece, è spesso rappresentato da prodotti industriali etichettati come “Fit”. Una lunga ed estremamente varia lista di prodotti alimentari; dagli snack dolci e salati, al pane, e alle bevande e polveri proteiche; che, attraverso strategie pubblicitarie vengono proposti come soluzione sana, semplice e veloce per il raggiungimento del “proprio” obiettivo.
Tuttavia la maggior parte di questi prodotti incarna il risultato di una combinazione di ingredienti artificiali miscelati tra loro, come dolcificanti artificiali e additivi chimici. Prodotti che nulla hanno a che vedere con la salubrità di un alimento fresco, ricco di nutrienti naturali e privo di elementi artificiali potenzialmente dannosi per l’organismo.
“Numerosi studi ora avvisano che il consumo eccessivo di questi elementi è correlato a rischi per la salute, oltre che all’obesità” ci avverte Eliana Liotta (saggista esperta in Scienze della vita e della salute). Eppure, uno dei motivi del successo dei cibi “High protein\Pro” venduti come salutari sarebbe proprio quello di far dimagrire. Tuttavia essendo ultra lavorati nascondono una realtà paradossale.
Infatti, un rilevante studio del National Institutes of Health (NIH) ha esaminato l’effetto del consumo di cibi ultra-processati rispetto a una dieta di cibi minimamente processati. I partecipanti che consumavano cibi ultra-processati ingerivano circa 500 calorie in più al giorno e guadagnavano peso rispetto a quelli che seguivano una dieta minimamente processata, nonostante le diete avessero lo stesso contenuto calorico e di macronutrienti. Lo studio ha concluso che i cibi ultra-processati causano sovralimentazione e aumento di peso.
Si tratta, peraltro, di prodotti che, spacciati per “healthy food” vengono venduti a prezzi elevati, istillando la credenza che sostenere abitudini alimentari sane sia particolarmente dispendioso. Pertanto, questo fattore acuisce le già esistenti disuguaglianze alimentari presenti nei paesi industrializzati.
Contesto socio-economico e disuguaglianze alimentari
Perché in un contesto in cui la maggior parte della popolazione è vocata al consumo si parla di disuguaglianze alimentari?
Le grandi aziende alimentari, per massimizzare i profitti, tendono a produrre alimenti processati utilizzando materie prime a basso costo, come estratti ultra lavorati del mais e della soia. Questo modello di produzione favorisce la disponibilità di alimenti economici e facilmente accessibili, ma di bassa qualità nutrizionale. Sfavorendo di fatto il mercato dell’agricoltura biologica e dell’allevamento sostenibile che sarò costretto a mantenere prezzi elevati inaccessibili.
In questo modo, l’industria alimentare, riesce a rispondere alla domanda con un’offerta quantitativamente adeguata rinunciando alla qualità del prodotto, con lo scopo di risparmiare sui costi di produzione e accumulare capitale economico.
Il costo ridotto dei cibi processati é dovuto a motivi legati alla produzione e alla distribuzione dei prodotti: la produzione su larga scala utilizza ingredienti economici e tecnologie avanzate che riducono i costi. Le grandi aziende, quindi, beneficiano dell’economia di scala abbattendo i costi unitari.
Un altro fattore risiede nella lunga durata di conservazione dei prodotti industriali che, grazie ai conservanti, diminuisce le perdite economiche dovute allo spreco e ne facilita la distribuzione sia sul piano spaziale che temporale. Inoltre, la logistica dei cibi processati è meno costosa, poiché richiedono meno cura e gestione, e non necessitano di refrigerazione rispetto ai prodotti freschi. L’insieme di questi fattori, insieme alle strategie di marketing e prezzi competitivi delle catene di distribuzione, rendono questi alimenti più accessibili rispetto a quelli freschi e nutrienti.
I cibi freschi e sani, come frutta e verdura di stagione, pesce e carni di qualità da allevamento controllato, dunque, hanno un costo maggiore e talvolta inaccessibile, che rende difficile, per le famiglie a basso reddito, includere questi alimenti nella dieta quotidiana. Un’indagine condotta da Coldiretti nel 2020 ha rivelato che il 30% degli italiani ha infatti ridotto l’acquisto di carne e pesce a causa dei costi inaccessibili.
In effetti, secondo un report dell’Osservatorio, pubblicato nel 2023, nel corso di cinque anni, tra il 2018 e il 2022 il costo della dieta raccomandata(in cui sono inclusi anche pesce e carne) è aumentato del 15%. ponendo di fatto una barriera economica alla conduzione di uno stile di vita sano.
L’accesso limitato all’alimentazione salutare spinge molte persone a indirizzare le proprie scelte alimentari verso alimenti processati o ultra-lavorati, che si presentano sugli scaffali con cartellini generalmente più economici, rendendoli quindi i prodotti più facilmente reperibili. La maggiore convenienza economica e la lunga conservabilità di tali prodotti li rendono un’opzione più comoda e conveniente. Tuttavia, questi alimenti, sono sono caratterizzati da un abbondante contenuto di conservanti, coloranti e aromi artificiali, zuccheri raffinati, grassi saturi e sodio. Sono, inoltre, privi di nutrienti essenziali, ovvero ciò che rende il cibo un “alimento”.
Conseguenze sulla salute
Gli alimenti processati e ultra-lavorati (compresi quelli denominati “fit”) sono prodotti alimentari che hanno subito modifiche rispetto al loro stato naturale per motivi di conservazione, gusto, e\o convenienza, in modo da far fronte alle esigenze di una società caratterizzata dalla frenesia e votata alla comodità. Questi alimenti, se da un lato rappresentano una soluzione, spesso contengono una serie di sostanze che possono avere effetti negativi sulla salute.
La combinazione di povertà alimentare e alto consumo di cibi lavorati, porta a problemi di salute pubblica come la malnutrizione e l’obesità. Secondo il Ministero della Salute, l’obesità infantile è un problema crescente in Italia, con il 20.4% dei bambini in età scolare sovrappeso e il 9.4% obeso.
Una dieta composta prevalentemente da alimenti di questo genere è anche associata a un aumento del rischio di malattie croniche come il diabete di tipo 2, alle malattie cardiovascolari e ad alcuni tipi di cancro. Per ridurre le possibilità di incorrere a queste conseguenze sarebbe opportuno il consumo di quello che realmente può essere denominato “healthy food”
Conclusione
Seppure le dinamiche scaturite dal modello economico attuale sembrino scatenare un circolo vizioso da cui risulta difficile uscire, migliorare e facilitare l’accesso a un’alimentazione di qualità diventa sinonimo di accesso alla salute, quindi un diritto per cui è necessario muoversi. Potrebbero esistere alcuni accorgimenti non poco rilevanti che i governi, senza dover stravolgere il modello economico, dovrebbero prendere in considerazione, come le politiche di sostegno alle piccole aziende agricole
Di fondamentale importanza, come strumento per iniziare a contrastare le disuguaglianze alimentari e una cattiva alimentazione sarebbe opportuno partire dall’educazione alimentare, cominciando dai più piccoli nuclei sociali, come l’ambito famigliare, per arrivare poi alle scuole; con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di una consapevolezza critica utile nell’operare scelte alimentari realmente informate. Solamente attraverso la conoscenza e un approccio critico si possono combattere false narrazioni, come quella riguardo l’healthy food, nocive sia per la salute che per il portafogli.