Questa nota espressione coniata alla fine degli anni ’50 ha incarnato lo spirito di un’epoca che stava cambiando e che nutriva un’ansia di ribellione e di distacco, ma anche la rassegnazione di una generazione “stroncata”, “battuta in partenza”. “Uomo, sono fottuto” è un epiteto che deriva dal linguaggio della strada, utilizzato nel rapporto con gli spacciatori per indicare che si era in crisi di astinenza o che non si aveva denaro.
Tale esclamazione viene utilizzata, durante gli anni 60, dalle rivendicazioni studentesche contro la guerra, il capitalismo, il razzismo. Assurge a simbolo di un modo di essere, di sentire, e a cui dar seguito e risposte. Nel 1962 a Port Huron, ebbe luogo la riunione di “Students for a Democratic Society”, dove viene approvato il loro manifesto politico (“Manifesto di Port Huron”).
Nella loro opinione il divario tra società civile e società politica è un elemento voluto dal potere, si assisteva a una “democrazia senza pubblico”. In particolare, i beatniks rifiutavano i modelli borghesi. Erano diffusi il senso di una sconfitta generazionale, la volontà di andare oltre i confini del legittimo e del consono, e l’ideologia Zen.
Il filosofo inglese Alan Watts teorizzava il vagabondaggio, e la vita on the road senza una meta predefinita, ma assaporando esclusivamente il gusto del viaggio verso l’altrove.
“Andiamo. Si, ma dove? Non lo so, ma andiamo”, citazione celeberrima dal romanzo “Sulla strada” di Jack Kerouac, capostipite dello stile beat.
In questo movimento generalizzato di emancipazione, di critica contro la cultura precostituita e di liberazione dai dogmi borghesi anche la musica e le arti subirono delle influenze. Dal rock contaminato, dal blues alla protest song di Bob Dylan all’action painting di Pollock, di De Kooning, ai cut-up di Borroughs, l’action writing di Michael McClure.
“Una quotidianità autre”, poetiche dell’oggettualità. Come nel “nouveau roman” di Alan Robbe-Grillet e Michel Butor cambia la relazione tra gli oggetti e il soggetto, dando seguito a un descrittivismo iper-ossessivo. I personaggi vengono messi da parte e l’oggetto trionfa, negando spazio a qualunque nesso causa-effetto che possa spiegare al lettore i cambiamenti. Come se le cose esistessero di per sé, senza implicazioni del processo cognitivo, che di solito compie il soggetto. I sentimenti umani non risiedono all’interno dell’individuo, ma sono appoggiati alle circostanze oggettive e risiedono all’esterno.
Rivoluzione, evoluzione o involuzione? Contenuto o inconsistenza? A voi l’ardua sentenza.