L’hate speech sui bambini ha un impatto spaventoso in quanto questi non riescono a percepire la gravità di un sistema fondato sull’odio. Un’emergenza in continua crescita sia nella vita quotidiana sia online, che ostacola la realizzazione di rapporti umani basati sul rispetto dell’altro. Non possiamo rimanere indifferenti. Bisogna operare su più livelli a partire da un nuovo modello di comunicazione nelle scuole e non solo che favorisca il rispetto e la capacità di mettersi nei panni degli altri.
La nostra quotidianità è sempre più immersa da parole e discorsi d’odio che influenzano in maniera significativa le esperienze e i comportamenti dei bambini. La diffusione di hate speech è diventata una realtà difficile da evitare al giorno d’oggi. Questa narrazione, infatti, viene legittimata e accettata nel web, sui social network, nelle scuole, in famiglia, sul lavoro e in politica. Con la differenza che per i bambini è più difficile orientarsi in quanto mancano spesso dei punti di riferimento. Una mancanza che li porta a non percepire la gravità di un sistema fondato sulla discriminazione. Un linguaggio che non fa riferimento solo alla singola parola o all’insulto, bensì ad una narrazione che, protratta nel tempo, mina la dignità della persona, per motivazioni personali, religiose, etniche e di differenze di pensiero.
Per questo bisogna urgentemente domandarsi che concetto di libertà e di inclusività stiamo insegnando ai bambini e ai cittadini del domani? Se per libertà intendiamo offendere l’altro in nome di una propria idea, ad entrarci in competizione a tutti i costi, per risultare migliori o vincenti e che il branco fa la forza sul singolo, abbiamo seriamente toccato il baratro.
All’ hate speech sui bambini si accosta anche l’omertà e l’ indifferenza
Il video dell’aggressione di Saverio Tommasi, durante la manifestazione no green pass, ha messo in luce l’agghiacciante quadro retrogrado di violenza che spesso i bambini sono costretti a subire nell’indifferenza della loro quotidianità. La violazione dei diritti umani evidente nel video non è il medioevo, ma è lo spettro di una realtà attuale di cui spesso i bambini ne sono spettatori, anche nei contesti scolastici e familiari dove il linguaggio d’odio viene banalizzato come semplice scherzo o presa in giro. Quello che abbiamo assistito non è altro che la punta di un iceberg. Se ne parla poco o, per paura e comodità, si preferisce non parlarne affatto. Un quadro di omertà in cui gli adulti preferiscono tirarsene fuori per gettare la responsabilità esclusivamente sui social network.
Cosa si può fare per contrastare il linguaggio d’odio?
Per poter contrastare l’hate speech sui bambini bisogna operare su più livelli. Diventa sempre più urgente la necessità di mettere al centro del sistema scolastico e non solo un modello comunicativo in grado di contrastare il linguaggio violento dilagante soprattutto sui social. Risulta importante, infatti, riformulare l’istruzione non più esclusivamente sul nozionismo o sulla competizione al voto più alto, ma sulla discussione costruttiva e sull’apprendimento cooperativo basato sul rispetto per l’unicità di ogni individuo. L’obiettivo deve essere quello di stimolare il pensiero critico e di riflettere sul linguaggio come strumento per sostenere i diritti degli altri, disinnescando la pericolosa retorica che per vincere bisogna annientare l’altro. Ma, soprattutto, è importante riflettere sul concetto di libertà che spesso insegniamo ai bambini. Una libertà incentrata sull’individualismo esasperato e non sull’inclusività, serve solo ad aumentare l’odio e i conflitti. Non è vera libertà.
Il bullismo è un problema strutturale della nostra società
Pertanto è opportuno che i docenti e gli educatori si interroghino sul linguaggio e sulle parole e inizino a considerare fenomeni come il bullismo non più come singoli episodi in cui basta mettere in punizione il bullo per risolvere il problema. Occorre, invece, considerare il bullismo come una problematica strutturale della nostra società. Molti sono i genitori che non riconoscono nel proprio figlio un potenziale bullo. Anzi lo stesso bambino si trova a vivere in un contesto di denigrazione che lo porta a interiorizzare il meccanismo che per essere accettati bisogna essere superiori agli altri. E sono tanti gli insegnanti che trascurano le problematiche scolastiche, rivendicando tristemente il loro ruolo di insegnare e non di educare.
Dobbiamo smettere di pensare che se la questione non ci tocca in prima persona non ci debba riguardare. Ne siamo tutti responsabili. L’educazione all’affettività e ai diritti umani non è un’opzione o una scelta secondaria rispetto al resto, ma è funzionale per migliorare davvero la nostra società. Il contrasto all’odio è diventato una vera emergenza, ma quando gli adulti lo capiranno sarà troppo tardi.