Tutti, chi più e chi meno, son stati in qualche modo colpiti da questo vento trascinante. È un vento che ti scompiglia senza criterio, che ti prende a capelli ed agita ogni millimetro della tua pelle. È fastidioso, che ti fa fischiar le orecchie e ti fa diventar le guance rosse fino a respirar male: è il vento dell’odio.
E come ne siamo tutti testimoni, l’odio può essere declinato in una miriade di modi per cui alle volte, fatichiamo a riconoscerlo. Ad oggi però, c’è una tipologia di astio che riesce a bombardarci da ogni dove, si insinua nelle nostre case senza il nostro permesso e fomenta i nostri animi attraverso atteggiamenti discutibili. Si chiama Hate Speech: l’odio online.
Qualche nozione etimologica prima di parlare di Hate Speech
Per parlare senza mezzi termini di Hate Speech e per comprenderne le sfumature diramate nella società di oggi, dovremmo compiere qualche passo indietro e farci così una domanda di partenza: cos’è l’odio?
L’odio ha a che fare con il provare. Si prova odio verso qualcosa o qualcuno. Potremmo definire l’odio come un sentimento istintivo di repulsione o, per esser un po’ più profondi, come un rodimento interiore, una sorta di persistente avversione.
È un termine che ancor prima del latino o del greco, sembra avere le sue origini nella radice indoeuropea del sanscrito vadh-.
Resta quindi un sentimento negativo che ci percuote e sottolinea una profonda ostilità.
Odiare è una passione, ed è una passione che si oppone all’amore.
Hobbes parlava in questi termini:
bellum omnium contra omnes
Tutti contro tutti è un dogma che ci portiamo dietro da secoli e sembra che i social abbiano espanso questa guerra.
Ogni giorno, l’Hate Speech dimostra la veridicità della massima hobbesiana, ma allora chiediamoci: è di questo che vogliamo nutrire il mondo?
Hate Speech e l’incapacità comunicativa
Il fenomeno dell’odio online è conseguenza di una grave incapacità comunicativa.
Potremmo parlare anche di mancanza di empatia, ignoranza di argomento, massificazione dei contenuti. Il vento dell’odio potrebbe mischiarsi all’odio generale che soffia tra le folle, ma vi è prima di tutto una vera e propria pochezza di comunicazione.
In che senso?
I social hanno permesso che la repentinità di idee, contenuti, stati d’animo, esigenze personali, diventassero pubbliche nel più breve tempo possibile.
Ciò ha comportato un aumento esponenziale di quantità da pubblicare che esaurisce, in maniera parallela, la qualità dell’attenzione.
C’è quindi chi parla per sentito dire, chi parla con cognizione di causa. Vi è chi esprime la propria opinione senza accettare che possa essere oggetto di critica, ed è così che le forze dell’odio acquisiscono terreno.
L’odio online è la ruspa delle parole, come Michela Murgia ci dice su Repubblica:
“Ciascuno di quei commentatori, preso singolarmente, ha motivi, frustrazioni e limiti differenti per esprimersi in quel modo. La domanda vera è un’altra. A chi serve creare spazi in cui quel registro violento smette di essere un eccesso personale e diventa espressione collettiva? A chi è utile additare l’avversario politico come un nemico da cancellare dall’orizzonte, annichilendolo fisicamente e moralmente con tutte le ruspe possibili, compresa quella delle parole?”
Le forze dell’odio sono ad esempio le fake news, i titoli fuorvianti, le prese di posizioni politiche (e non) che si travestono di democrazia, che inneggiano la libertà di parola quando hanno ben poco di entrambe.
L’utilità dell’Hate Speech e l’analfabetismo funzionale
È chiaro, quindi, che l’Hate Speech è un’arma conveniente. Basti pensare agli ultimi anni, dove le campagne di odio, portate avanti sistematicamente dalla destra populista di Salvini, Le Pen, Orban e Farage, sono diventate terreno fertile degli estremismi.
A questo, si aggiunge un fenomeno sociale sempre più radicato: l’analfabetismo funzionale.
In Italia, gli analfabeti funzionali contano circa il 28% della popolazione dai 16 ai 65 anni, secondo l‘indagine Piaac – Ocse. Chiunque di noi potrebbe esserlo.
Essere analfabeti funzionali significa decifrare poco e male. Non avere gli strumenti adatti per un’analisi critica. In poche parole, se vogliamo usarne poche, abbiamo difficoltà nella comprensione e nel problematizzare.
Di certo, il generalizzare e la mancanza di individuazione del contesto, incrementano abbondantemente le polemiche.
Abbiamo una contromossa: il Counter Speech
Il dibattito sull’hate speech si è intensificato talmente tanto negli ultimi anni da coinvolgere tutte le Istituzioni, nazionali e Internazionali.
Così la Commisione Europea, il 31 maggio 2016, ha annunciato il “Codice di condotta sulle espressioni illegali di odio online” e la creazione di un Sottogruppo ad alto livello UE per la lotta contro l’hate speech online.
L’adesione al Codice comporta, per i Social Network, l’elaborazione di procedure interne e la formazione al personale in modo che sia possibile esaminare entro 24 ore la maggior parte delle richieste che incitano all’odio, e di cancellarle nel caso.
Monitorare le piattaforme non è però una risoluzione definitiva della questione. Per questo, si parla sempre più di una metodologia che contrasta l’odio online.
Sembra essere l’ala buona di un costrutto sociale unico. Da una parte l’Hate Speech, dall’altra il Counter Speech.
Francesca Cerquozzi, studiosa di filosofia, ci dà una cornice precisa del fenomeno:
“Il counter speech è, infatti, una risposta frequente ai contenuti che incitano all’odio o all’estremismo, affidata agli utenti del web che, possono intervenire direttamente cercando di dissuadere l’aggressore, senza sottovalutarne il potenziale dannoso. Infatti, prendere con leggerezza i tanti commenti violenti e discriminatori che si leggono, ignorandoli, può comportare una cattiva valutazione di ciò che si nasconde dietro al commento e dell’impatto che una determinata opinione può avere sul comportamento dell’hater. Questo metodo ha i suoi vantaggi: è più veloce, più flessibile ed efficiente, capace di affrontare l’odio in ogni lingua e ovunque ci si trovi, mantenendo saldo il principio dello spazio pubblico aperto e libero per il dibattito.”
Al Counter Speech, in Italia si aggiunge l’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che lavora dal 2015 sulla questione dell’odio diffuso nelle piattaforme ed ha istituito, l’Osservatorio Media & Internet, il quale si pone l’obiettivo di ricercare, attraverso alcune parole chiave, forme di odio e di intolleranza.
La manica di un coltello
Il vento dell’odio è un vento che può essere combattuto. Ce lo ricorda un po’ di più Zygmunt Bauman che, nei suoi studi, ha lavorato a lungo sulla dicotomia paura-odio.
Internet è una scatola in cui ci rifugiamo insieme ai nostri pensieri. Internet è un coltello, come ci informa il sociologo. A noi spetta di scegliere.
Scegliere la cultura, se leggiamo Cassirer. L’arte del dubitare, se leggiamo Cartesio. Scegliere di deporre le armi dello scontro, dell’esclusione, se leggiamo Bauman:
«Internet e i “social” possono servire altrettanto efficacemente all’inclusione come all’esclusione, al rispetto e al disprezzo, all’amicizia e all’odio. La responsabilità di scegliere ricade direttamente sulle nostre spalle di navigatori. Possiamo usare lo stesso coltello per tagliare pane o gole: a qualsiasi uso lo destini, chi lo tiene lo vuole affilato. Il web affila gli strumenti ma noi ne scegliamo l’applicazione»
Maria Pia Sgariglia
Siccome sto da diverso tempo su internet, il linguaggio d’odio so bene cos’è ed è una brutta piaga, in particolare in questo articolo mi è rimasta impressa una frase: “L’odio è la ruspa delle parole”. Mai frase fu più vera, perché ne uccide più la penna che la spada e colpiscono chi sta dietro il cellulare, o il pc. Siamo, in fondo, tutti esseri umani e il peso delle parole è identico, che sia scritto o parlato. Ben vengano articoli come questo allora!
Grazie Andrea!