Hannibal Gheddafi, figlio del dittatore libico Mu’ammar, è detenuto in Libano da ormai otto anni senza aver subito alcun processo, in uno stallo politico che lo ha portato a perdere ormai 25 kg.
La detenzione di Hannibal Gheddafi
Hannibal Gheddafi, figlio del dittatore libico Mu’ammar Gheddafi ammazzato in Libia nel 2011, è tenuto in ostaggio da oltre 8 anni dal governo libanese in maniera arbitrale, senza che gli siano state formulate accuse specifiche o essere stato sottoposto ad alcun processo. Da giugno ha iniziato uno sciopero della fame come forma di protesta contro le condizioni della sua prigionia, che lo ha portato a perdere 25 kg.
Negli scorsi giorni l’emittente televisiva libanese Al Jadeed ha parlato di condizioni mediche allarmanti, dichiarando che
“Hannibal, figlio di Gheddafi, è stato trasferito d’urgenza in ospedale. L’equipe medica, gli ha spiegato che deve assolutamente mangiare, dato che le sue condizioni di salute attuali hanno raggiunto uno stadio che non può più sopportare il digiuno. I consigli dei medici, tuttavia, sono stati vani, Hannibal prosegue con il suo sciopero della fame”.
Il figlio del dittatore libico ha iniziato lo sciopero della fame il 3 giugno e da allora è stato ricoverato in ospedale tre volte a causa di aggravamenti delle sue condizioni di salute.
La vicenda ha dell’assurdo: non solo il Libano non sta rispettando gli articoli 9 e 10 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu i quali sanciscono che “nessuna persona può essere arbitrariamente arrestata o detenuta” e che “ogni persona ha diritto a un equo processo da parte di un tribunale indipendente” ma addirittura accusa Hannibal di un crimine risalente al 1978, quando aveva solo 3 anni.
Le accuse
Il governo libanese imputerebbe a Ghedaffi di nascondere informazioni riguardanti la scomparsa dell’imam sciita Moussa Sadr, fondatore del movimento libanese Amal. L’imam è sparito nel 1978 a Tripoli e da allora se ne sono perse le tracce. La famiglia di Sadr sostiene che Sadr, che ad oggi dovrebbe avere 94 anni, sia attualmente detenuto in Libia. Molti dei sostenitori di Sadr ritengono che Mu’ammar Gheddafi ne avesse ordinato l’uccisione, mentre il governo libico ha sempre affermato che Sadr avesse lasciato Tripoli su un volo diretto a Roma, sostenendo così l’ipotesi di una disputa interna all’interno della comunità sciita e di un conseguente regolamento dei conti con la morte dell’iman.
Nel frattempo, nel 2011 la dittatura di Gheddafi è caduta e Hannibal Gheddafi, si è ritrovato esule in Siria. Secondo quanto rivelato da un’indagine di Abc News, l’11 dicembre 2015 sarebbe stato prelevato e portato in Libano da membri del gruppo armato libanese Amal. Dopo alcune settimane, la polizia libanese ha annunciato di aver trovato Hannibal Gheddafi a Baalbek, cittadina a circa 90 km a nord-est di Beirut, ma anziché liberarlo, ha rilasciato i rapitori e lo ha incarcerato nella capitale. Il governo non ha mai formulato accuse, lasciando Gheddafi in un limbo da ormai otto anni, nonostante il Codice penale libanese esoneri da pene coloro che sono ritenuti reticenti riguardo a fatti che coinvolgono parenti stretti.
Nabih Berri, il potente presidente del Parlamento libanese e leader di Amal, gioca un ruolo chiave in questa situazione. La sua influenza nel paese spiega l’attuale stallo nella detenzione di Gheddafi, nonostante una lunga lista di figure più e meno autorevoli ne richiedano il rilascio.
Da anni ormai vari istituzioni libiche, anche non di stampo gheddafiano, ne chiedono la liberazione, sostenendo come il detenuto non abbia mai ricoperto ruoli o cariche politiche durante dittatura del padre. Il sottosegretario agli affari esteri del governo di Tripoli, Omar Kutti, ha comunicato che il ministro della giustizia ha richiesto alle autorità libanesi di ospitare una delegazione proveniente dalla Libia, insieme a un team medico, allo scopo di condurre esami sullo stato di salute del prigioniero e di discutere la situazione, che sembra si stia lentamente trasformando in una crisi diplomatica. Finora, non è stata ancora fornita alcuna risposta da Beirut, che pare mantenere la linea del silenzio di fronte a tutti i tentativi di riconciliazione fatti dai politici libici. Infatti, la richiesta di visto presentata diverse settimane fa all’ambasciata libanese a Tripoli da parte di una commissione composta dal primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibeh e dalla ministra della giustizia Halima Busaifi, è stata ignorata. Così come è stata lasciata senza risposta la lettera inviata dal procuratore generale libico al-Siddiq al-Sour alle autorità giudiziarie del Libano.
Ciò che tuttavia lascia sconcertati è il silenzio, piuttosto prolungato ormai, da parte dell’UNHCR (l’Alto Commissariato Delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite in merito alle detenzioni arbitrarie. Questo silenzio ha comportato un vuoto di azione e l’assenza di pressioni sul Libano da parte di nazioni influenti della comunità internazionale, contribuendo così alla drammatica situazione di stallo attuale.
Tale silenzio può essere interpretato in vari modi, ma in questo caso sta contribuendo a una situazione di impasse con riscontri preoccupanti per la salute di Hannibal Gheddafi. Ed è anche un esempio eloquente di come il potere dell’opinione pubblica internazionale e delle pressioni diplomatiche abbiano un ruolo fondamentale nel plasmare il comportamento dei governi e influenzare il corso degli eventi.
Clara Gagliardone