Matiullah Wesa, l’attivista afghano fondatore del progetto Pen Path finalizzato alla promozione dell’istruzione femminile in Afghanistan, è stato arrestato lunedì a Kabul dalle autorità talebane. A denunciare l’accaduto sono il fratello e la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama)
Arrestato l’attivista Matiullah Wesa
Arrestato l’attivista Matiullah Wesa dopo essere stato picchiato e prelevato con forza lunedì sera di fronte una moschea del quartiere di Khushal Khan a Kabul per aver sfidato il divieto di istruzione femminile in Afghanistan. A denunciare l’arresto sono suo fratello, anche lui attivista, Samiullah Wesa, e la missione Onu del Pese, ovvero la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), attraverso il seguente tweet: “Matiullah Wesa, capo di PenPath (associazione che ha fondato) e sostenitore dell’istruzione per le ragazze, è stato arrestato lunedì a Kabul. Chiediamo alle autorità di fatto di chiarire dove si trovi, le ragioni del suo arresto e di garantire che abbia accesso a una rappresentanza legale e possa contattare la famiglia“. Matiullah, attivista sin dai 16 anni quando insieme al fratello fondò l’associazione no-profit Pen Path per combattere l’analfabetismo in tutto il Paese, è stato arrestato proprio a causa della sua missione: promuovere l’istruzione femminile in un contesto che sempre più mira all’oppressione dei diritti delle donne e sembra auspicare ad una totale cancellazione del genere femminile nel contesto della vita pubblica del paese.
La preoccupante situazione delle donne afghane
Questa è infatti la direzione politica dei talebani da quando hanno ripreso il potere in Afghanistan, nonostante le promesse fatte durante i colloqui di Doha di salvaguardare i diritti del genere femminile. I miglioramenti effettuati fino alla presa di Kabul da parte dei talebani nell’agosto del 2021 per tutelare il diritto all’istruzione, infatti, vengono uno dopo l’altro demoliti dal regime talebano e la situazione delle donne in Afghanistan continua a peggiorare in modo inarrestabile. Da quel momento sono state introdotte politiche di rigorosa discriminazione nei confronti di donne e bambine, costrette a vivere in un clima di soffocante repressione. Le donne afghane sono infatti vittime di una vera e propria violazione dei propri diritti umani fondamentali, dal divieto di lavoro, di libertà di movimento, fino ad arrivare come abbiamo visto, al divieto di istruzione, contro il quale si batteva Matiullah Wesa.
L’appello delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan
A marzo dello scorso anno, infatti, l’illusione che le scuole riaprissero per bambine e ragazze sfumò nel nulla. Il 21 marzo scorso, con l’inizio dell’anno scolastico in Afghanistan dopo la pausa invernale, si pensava che la situazione sarebbe cambiata ma per più di 3 milioni di studentesse adolescenti vige ancora lo stesso “bando di genere” del 2022, lo stesse che le vede impossibilitate anche ad accedere a gran parte dei lavori, ai parchi, a piscine, palestre e la maggior parte degli spazi della vita pubblica. Questo bando è un bando provvisorio che discrimina le donne e le priva di ogni libertà individuale e diritto umano, in attesa che venga varata una legge in grado di delineare delle modalità di partecipazione del genere femminile alla vita pubblica che siano in linea con quello che prescrive la Shari’ah, la legge sacra imposta da Dio. Su questo è basato l’ultimo invito-appello dell’inviato speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett. Egli sostiene infatti che «La politica intenzionale e calcolata dei talebani è quella di negare i diritti delle donne e delle ragazze e di cancellarle dalla vita pubblica» e, a seguito di un’analisi di dati che risultano estremamente preoccupanti, avverte che dietro tale politica potrebbe nascondersi un “crimine di persecuzione di genere”. Tutto questo nonostante l’Afghanistan sia uno Stato firmatario della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Convenzione che, come scrive Bennett, i talebani stanno “contravvenendo in modo flagrante”.
Voci di speranza per un futuro migliore
L’arresto di Matiullah Wesa viene a configurarsi quindi come l’ennesima red flag di una situazione preoccupante che sembra non avere il minimo margine di miglioramento ma che, al contrario, sembra purtroppo destinata a diventare sempre più opprimente e discriminante nei confronti delle donne. Non manca fortunatamente il sostegno sia da parte della popolazione che da parte della diplomazia internazionale e dei gruppi per i diritti umani. L’aumento della consapevolezza riguardo la propria condizione e la forte necessità di libertà hanno portato infatti molte donne afghane a protestare per le strade di Kabul, rivendicando in modo coraggioso i propri diritti umani fondamentali e il proprio diritto all’istruzione. L’arresto di Matiullah Wesa, insieme all’arresto avvenuto lo scorso febbraio del professore universitario dissidente verso il regime dei talebani in Afghanistan Ismail Mashal, sono stati inoltre due eventi particolarmente significativi per l’avvio di una repentina campagna di pressione sul regime talebano e di denuncia nei confronti di questi crimini contro l’umanità, facendo innalzare voci di speranza e ribellione fondamentali per il cambiamento necessario ad un miglioramento della condizione delle donne afghane, per il loro futuro e per il futuro dell’interno Paese.